Licenziamento GMO: senza repêchage non c’è l’obbligo di reintegra. Le novità

Le novità riguardano i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO)

Paolo Ballanti 25/07/24
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La Corte costituzionale ha di recente dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nel Decreto legislativo numero 23/2015, nella parte in cui non estende al licenziamento per giustificato motivo oggettivo la tutela reintegratoria prevista per i casi di insussistenza del fatto materiale contestato al legislatore.

Nella sentenza, la Corte ha altresì precisato i confini del giudizio di incostituzionalità, confini che escludono le ipotesi di illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repêchage.

Analizziamo la questione in dettaglio.

Indice

Quando è prevista la reintegra del lavoratore licenziato?

L’articolo 3 in materia di “Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa” del Decreto legislativo 4 marzo 2015 numero 23 dispone al comma 2 che, esclusivamente nelle ipotesi di:

– licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
– licenziamento per giusta causa;

in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto al quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice:

– annulla il licenziamento;
– condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente in azienda;
– condanna il datore di lavoro a pagare un’indennità risarcitoria, pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto l’interessato abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro.

Per saperne di più leggi come funziona il contratto a tutele crescenti del Jobs Act

In ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente la pronuncia di reintegrazione, non può essere superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr.

L’azienda deve inoltre farsi carico del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva.

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Il dipendente può optare per l’indennità sostitutiva della reintegra

Fermo restando il diritto del dipendente al risarcimento del danno, allo stesso è data facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione in azienda, il riconoscimento di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr.

La richiesta di indennità, grazie alla quale si determina la risoluzione del rapporto, dev’essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla citata comunicazione.

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Quando scatta la sola indennità risarcitoria contro il licenziamento illegittimo

L’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. numero 23/2015 prevede che, quando non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo o giusta causa, nella generalità dei casi, il giudice:

– dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento;
– condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, determinata sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, di importo variabile comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

A seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 194/2018, dall’8 novembre 2018 il giudice nel momento in cui accerta che non ricorrono gli estremi del licenziamento può discrezionalmente determinare la misura dell’indennità risarcitoria, nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa, tenendo in considerazione non solo l’anzianità di servizio del dipendente ma altresì:

– numero dei dipendenti occupati;
– dimensioni dell’attività economica;
– comportamento e condizioni delle parti.

La sentenza della Corte costituzionale

La Corte costituzionale, con sentenza numero 128 del 4 giugno/16 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 3 comma 2, nella parte in cui non prevede che si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto al quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore.

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Sentenza 128/2024 Corte costituzionale

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Il repêchage esclude la reintegra

La Corte costituzionale ha altresì sottolineato che la “giustificatezza del licenziamento per giustificato motivo oggettivo richiede anche” per consolidata giurisprudenza di Cassazione che il lavoratore sia “utilmente ricollocabile in azienda in altra posizione lavorativa (obbligo di repêchage)” (sentenza numero 128/2024).

In tal senso il licenziamento è pur sempre un’extrema ratio dal momento che, quando c’è la possibilità di ricollocamento, ciò è rilevante al fine della valutazione di illegittimità del recesso nel senso che alla realizzazione della ragione d’impresa, allegata dal datore di lavoro, pur se fondata su un fatto materiale sussistente, non “avrebbe richiesto, però, necessariamente, nel caso concreto, l’espulsione del lavoratore licenziato”.

In situazioni simili il fatto materiale, allegato come ragione d’impresa, sussiste ma non giustifica il recesso perché risulta che il lavoratore potrebbe essere utilmente ricollocato in azienda.

In virtù della presenza del fatto materiale, nonostante il recesso sia illegittimo sotto un profilo diverso (quello della verificata ricollocabilità del lavoratore) non si possono estendere alla fattispecie in parola gli effetti dell’illegittimità costituzionale.

In definitiva, il vizio di legittimità costituzionale non si riproduce nelle ipotesi in cui il fatto materiale, allegato come ragione d’impresa:
– sussiste;
– giustifica il licenziamento perché risulta che il lavoratore potrebbe essere utilmente ricollocato in azienda.

Di conseguenza, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve tener fuori la possibilità di ricollocamento del licenziato per ragioni d’impresa.
In conclusione, la violazione dell’obbligo di repêchage attiva la semplice tutela indennitaria di cui all’articolo 3, comma 1, D.Lgs. numero 23/2015.

Gli effetti dalla sentenza della Corte costituzionale

Per effetto della sentenza numero 128/2024 dal 16 luglio scorso la tutela reintegratoria di cui all’articolo 3, comma 2 opera anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ritenuto illegittimo dal giudice per insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento (repêchage) del lavoratore.

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Foto copertina: istock/tadamichi