Quindi, un licenziamento per motivi oggettivi può avvenire non soltanto per “motivi economici”, bensì per questioni afferenti il dipendente stesso, come appunto l’improvvisa inidoneità alla mansione. Quindi, nel caso di specie, il datore di lavoro non può continuare il rapporto di lavoro con il proprio dipendente in quanto quest’ultimo è divenuto improvvisamente inabile a svolgere quella tipologia di mansione. Pertanto, non potendo più servirsi dell’unità operativa il datore di lavoro non può fare altro che licenziare il lavoratore per motivi oggettivi.
È il caso, ad esempio, di un autotrasportare che, purtroppo, in un incidente stradale subisce un sinistro agli arti inferiori che lo costringe a rimanere sulla sedia a rotelle. In queste situazioni, come vedremo in seguito, il datore di lavoro deve comunque seguire una procedura ben precisa prima di procedere con l’extrema ratio.
>> Scarica qui la nota dell’INL n. 298 del 24 giugno
Quindi, alla luce delle ultime novità introdotte a causa dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus, che obbliga i datori di lavoro a non licenziare i lavoratori in questo periodo di estrema difficoltà, l’Ispettorato nazionale del lavoro chiarisce se anche il caso appena citato rientra nell’alveo del cd. “divieto di licenziamento”.
Licenziamento per inidoneità alla mansione: cos’è e come funziona
In parole semplici, il licenziamento per inidoneità alla mansione avviene quando il lavoratore diventa improvvisamente inidoneo a svolgere un determinato tipo di lavoro.
L’impossibilità, però, non si riferisce soltanto alle condizioni fisiche del dipendente, ma anche a situazioni sempre intrinseche allo stesso. Si pensi, ad esempio, a un camionista al quale viene revocata la patente perché sorpreso a guidare ubriaco. In tal caso, poiché la patente è lo strumento imprescindibile per prestare l’attività lavorativa, senza la quale il contratto di lavoro stipulato tra le parti non avrebbe luogo, il datore di lavoro non può fare altro che licenziare lo stesso. Anche in quest’ultimo caso, quindi, si parla di licenziamento per motivi oggettivi.
Come anticipato in premessa, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento senza osservare una determinata procedura, in quanto la legge impone allo stesso di verificare se può diversamente ricollocarlo in azienda. Quindi, il datore di lavoro non deve fare altro che controllare se all’interno della propria azienda esiste una posizione libera e idonea al profilo del lavoratore che si sta per licenziare. Una volta assicurato stabilito che il lavoratore non può essere ricollocato in altra maniera, si procede con il licenziamento.
Stop ai licenziamenti causa Covid
L’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”), successivamente integrato e modificato dall’art. 80 del D.L. n. 34/2020 (cd. “Decreto Rilancio”), ha previsto che – a decorrere dal 17 marzo 2020 – i datori di lavoro non possono procedere ai licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo.
Tale divieto opera per una durata di 5 mesi. Inoltre, nel predetto periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Il “Decreto Rilancio”, tra l’altro, offre la possibilità al datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo compreso dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, di revocare la propria decisione in ogni momento. Ciò è ammesso purché si faccia contestualmente richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale.
In tal caso, stabilisce la legge, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Naturalmente si tratta di norme straordinarie che derogano quanto contenuto dallo Statuto dei Lavoratori all’art. 18, co. 10, della L. n. 300/1970. Quindi, in caso di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca.
Licenziamento per inidoneità alla mansione: stop ai licenziamenti
Nella Nota n. 298 del 24 giugno 2020, l’INL ha specificato che il legislatore ha inteso dare alla norma un carattere generale, con la conseguenza che devono ritenersi ricomprese nel suo alveo tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966.
Quindi, anche il licenziamento per inidoneità alla mansione rientra nell’ambito del divieto di licenziamento, atteso che l’inidoneità sopravvenuta alla mansione impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell’organizzazione aziendale.
L’obbligo di “repechage” (ossia del “ripescaggio” del lavoratore in azienda) rende, pertanto, la fattispecie in esame del tutto assimilabile alle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, considerato che la legittimità della procedura di licenziamento non può prescindere dalla verifica in ordine alla impossibilità di una ricollocazione in mansioni compatibili con l’inidoneità sopravvenuta.
In definitiva, l’INL ritiene che la disciplina prevista dagli artt. 46 e 103 del D.L. n. 18/2020 riguardi anche i licenziamenti per sopravvenuta inidoneità alla mansione.
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