Il lavoratore impugna avanti al Tribunale di Roma il licenziamento sostenendo di aver fatto tutte le telefonate contestate:
– fuori dall’orario di servizio
– solo per trovare conforto e sostegno da voci amiche in merito a un disagio psicologico vissuto sul posto di lavoro a causa delle condotte vessatorie e mobbizzanti del datore.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma confermano la legittimità del licenziamento. In particolare, la Corte di Appello evidenzia i seguenti motivi:
– non vi è prova di condotte mobbizzanti da parte del datore né di uno stato depressivo del lavoratore tale da poter giustificare le sue condotte illegittime;
– il lavoratore, se realmente affetto da un disagio psicologico, avrebbe dovuto sottoporsi a cure mediche appropriate, non sostituibili dai lunghi colloqui telefonici con “voci amiche”, peraltro effettuati con l’uso, indebito, dei beni del datore di lavoro;
– la gravità dei fatti addebitati è tale da legittimare il licenziamento.
La decisione della Corte d’Appello di Roma è confermata anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3315 del 12 febbraio scorso, che ribadisce i seguenti principi:
– anche volendo ammettere che il lavoratore fosse affetto da depressione, nulla gli avrebbe impedito di ricorrere alle cure del caso;
– l’uso indebito di mezzi aziendali come il telefono per fini propri e con grave danno economico del datore di lavoro è da ritenersi sempre illegittima, perché contrario alla correttezza e alla buona fede nello svolgimento del rapporto lavorativo; pertanto, il lavoratore non è legittimato ad adottare simili comportamenti neppure in presenza di una situazione particolare fragilità psichica provocata dal datore di lavoro.
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