Le vicende processuali di questo celebre caso sono note non solo ai giuristi (è stato anche rappresentato sul grande schermo) e si conclusero con un processo sommario, una degradazione e una condanna alla deportazione a vita sull’Isola del Diavolo nella Guyana francese. Zola, con il suo J’accuse, volle indicare – meglio: denunciare – con precisione tutti i protagonisti di un simile errore giudiziario mettendo in evidenza, al contempo, i difetti e i pericoli della cosiddetta “ragion di stato”.
Il libro, curato da Massimo Sestili e con una prefazione di Roberto Saviano, è una vera e propria miniera di informazioni interessanti per chi non conoscesse i fatti o volesse semplicemente ripercorrerli. È, poi, una delle prime volte che vengono riportati tutti gli scritti di Zola in forma integrale (comprese le sue “chiamate alle armi” rivolte agli altri intellettuali francesi che tardavano nel prendere posizione contro lo scempio del diritto e della giustizia che si stava verificando), e questa nobile ossessione per la chiarezza, per fare uscire la verità, è ancora di estrema attualità. Zola è martoriato da questo pensiero, che logora l’intellettuale anche mentre è a Roma per scrivere un romanzo, e che non può fare a meno di pensare a un innocente in galera stritolato dalla lotta dei poteri di una democrazia agonizzante e alla necessità che il caso diventi di dibattito pubblico, che se ne discuta in ogni luogo e che anche gli intellettuali si schierino a difesa dei diritti umani e processuali calpestati.
Nel libro la vicenda è trattata sin dal principio, da quel bigliettino contenente appunti sull’esercito francese indirizzato all’ambasciata tedesca e che portò all’urgenza di trovare un traditore da condannare, in fretta e senza possibilmente toccare le alte schiere e i potenti. Fu trovata una vittima facile, un giovane, poco potente, ebreo. E saltò così fuori il nome di Dreyfus. Subì un processo a porte chiuse, una condanna e il fango della stampa, sino a quando il panorama mutò e qualcuno cercò di scavare nei fatti e di fare chiarezza. Lo stesso Zola arriverà a pagare questa sua denuncia contro il mondo militare e politico con una condanna per vilipendio e l’esilio a Londra, e alcuni scritti sono dedicati anche agli attacchi subiti dallo scrittore e dalla sua famiglia.
Il libro è, in estrema sintesi, una raccolta di articoli che Zola scrisse durante la vicenda Dreyfus, nel corso di tre anni, dal 1897 al 1900. Gli argomenti affrontati sono tanti, e non sono tutti processuali. Lo scrittore parla della necessità di schierarsi, dell’impegno degli intellettuali, delle trame oscure del potere, soprattutto militare e politico, della facilità nel travisare la realtà e nello schierarsi, come pecore, dalla parte sbagliata e la difficoltà successiva di riportare a galla la verità dopo campagne diffamatorie. Sopra tutti questi temi aleggia l’incubo della discriminazione e dell’errore giudiziario, tanto che molti degli scritti hanno, come titolo, “Impressione d’udienze”, “Lettera ai giurati”, “Giustizia”.
La parte processuale (anche documentale) è abbastanza solida (anche se non preminente), e si snoda come un filo costante attraverso problemi politici che Zola evidenzia con grandi capacità descrittive. Mai un libro simile, nell’era della trasparenza e dei dibattiti sul segreto, è stato così attuale, e vale davvero la pena rileggerlo.
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