L’emergenza Covid tra salute pubblica e diritti costituzionali

L’emergenza Covid-19 ha messo in luce problematiche giuridiche molto delicate, e non solo di carattere sanitario. In particolare, da molte parti si è giustamente paventato il rischio di una eccessiva compromissione dei diritti costituzionali garantiti dagli artt. compresi tra il 13 e il 54 della nostra Carta fondamentale. Ovviamente, il punto di partenza deve essere l’articolo 16 della Costituzione dove si legge che ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale; salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per “motivi di sanità o di sicurezza” letto in combinato disposto con l’articolo 13, a mente del quale “la libertà personale è inviolabile.

In prima battuta, e in apparenza, tutte le restrizioni che stiamo subendo sembrano rientrare all’interno della previsione dell’articolo 16 ed essere “giustificate” dalla riserva di legge in esso contenuta la quale si rifà, a sua volta, al fondamentale diritto alla salute di cui all’articolo 32.

Tuttavia, abbiamo due problemi. Un primo problema di carattere formale e un secondo problema di carattere sostanziale. Quanto al primo, esso concerne la cosiddetta “riserva di legge”. Il dubbio è il seguente: quella prevista dall’art. 16 è una riserva di legge assoluta (il che significa che solo la legge ordinaria può derogare eccezionalmente alle libertà di circolazione) oppure relativa (nel senso che la deroga può discendere, in sede di applicazione pratica, anche da fonti normative di rango secondario come i regolamenti emanati dal Governo)?

Nel caso del Coronavirus, le limitazioni sono adottate dalle autorità governative sulla base di D.p.c.m. che, a loro volta, “riposano” su un decreto legge successivamente convertito (quindi, formalmente, su una fonte di rango primario). A seconda di quale delle due interpretazioni suindicate prevale, ci troveremo dentro il (o fuori dal) perimetro del recinto di costituzionalità. Ebbene, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l’articolo 16 fissa una riserva di legge di carattere relativo (Corte cost., nr. 68 del 1964). Ergo, la legge deve dettare i principi generali mentre  i dettagli operativi possono essere specificati  da regolamenti di attuazione.

Ma non è finita qui. Soprattutto se pensiamo che in ballo c’è anche l’art. 13 della Costituzione posto a tutela generale della libertà personale. Un autorevole costituzionalista, Alessandro Pace, ebbe a scrivere, in tempi non sospetti: “Va subito affermato che non sembra che l’art. 13 possa cedere all’art. 32; pertanto tutte le restrizioni coattive per motivi di sanità devono di necessità seguire la via giurisdizionale prevista da quell’articolo”. Il che significa che, nella vicenda in corso, ci troveremmo in una inquietante situazione di vulnus rispetto alle guarentigie costituzionali. Non foss’altro perché il menzionato art. 13 consente la coartazione della libertà individuale solo in presenza di un provvedimento giurisdizionale. Al contrario, in tutta la vicenda Covid, è completamente bypassato l’intervento (“legittimante” le misure contenitive) da parte della magistratura.

A questo punto, dobbiamo anche considerare che in gioco non c’è solo la libertà personale in senso lato –  e quindi tutti i cascami conseguenti a questa sorta di “habeas corpus” italiano –,  ma anche tutta una ulteriore gamma di diritti, come per esempio il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 della costituzione), il diritto alla iniziativa economica privata e alla proprietà privata (momentaneamente sospesi, durante i picchi del contagio) previsti dagli art. 41 e 42, il diritto alla libertà di culto contemplato dall’art. 19, ma anche e soprattutto l’art. 17 e l’art. 21.

L’articolo 17 prescrive, come noto, l’inculcabile diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e senza armi e senza necessità di nulla osta preventivi. Offre  loro, inoltre, la garanzia di potersi aggregare in spazi pubblici sapendo che un divieto può essere stabilito dalla pubblica autorità per esclusive ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica.

Ora, in considerazione di tutte le scoperte e acquisizioni scientifiche rese note nei primi due mesi successivi all’inizio del contagio, appare evidente che il germe patogeno – se anche non è stato sopravvalutato all’inizio –  oggi è affrontabile e gestibile in modo estremamente più efficace rispetto ai suoi esordi. Ciò significa che far dipendere la “concessione” di diritti non negoziabili alla mera valutazione “di opportunità” di “comitati “tecnico-scientifici” conduce a una indubitabile (e forse ingiustificabile) compressione delle libertà costituzionali.

Un ultimo aspetto che ci preme qui mettere in evidenza – ma non è certo l’ultimo su cui meriterebbe soffermarsi – è quello relativo alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Costituzione. Specialmente nel corso delle prime settimane di diffusione del virus, si è assistito a una preoccupante tendenza –  da parte dei colossi della web society, ma anche da parte dei pubblici poteri – a selezionare, quando non addirittura a oscurare, le opinioni sgradite alla “narrazione” prevalente sui media mainstream.

Attenzione: non stiamo parlando del deprecabile fenomeno delle cosiddette fake news. Ci riferiamo, piuttosto, alla espressione di legittime opinioni ben argomentate sulla base di fatti acclarati e accertati. Il rischio è che, con la discutibilissima scusa di un superiore interesse alla “concordia nazionale” (necessaria per fronteggiare il temuto disastro sanitario) si colga l’occasione per un giro di vite brutale.  A danno di diritti che i nostri padri costituenti avevano ritenuto, forse ingenuamente, di aver “blindato” rispetto alla funesta stagione del ventennio.

Avv. Francesco Carraro

 

 

Francesco Carraro

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