La decisione -prosegue la nota- è stata deliberata, tra l’altro, in base alla considerazione che le norme censurate non violano i parametri costituzionali evocati in quanto non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale, e in particolare dell’autorizzazione integrata ambientale riesaminata, nei confronti della quale, in quanto atto amministrativo, sono possibili gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento”. Per la Consulta, dunque, non si è rilevata alcuna violazione del principio della separazione dei poteri dello Stato e dell’indipendenza della magistratura. Neppure la violazione del diritto alla salute sembra essersi venuta a configurare dal momento che l’Ilva è tenuta a rispettare la normativa sulla tutela ambientale. E’ parere della Corte Costituzionale, inoltre, che la 231/12 non incide sul procedimento penale: la nota al riguardo riporta che “la Corte ha, altresì, ritenuto che le norme censurate non hanno alcuna incidenza sull’accertamento delle responsabilità nell’ambito del procedimento penale in corso davanti all’autorità giudiziaria di Taranto”.
Il diritto alla salute, a non morire di un cancro “predestinato” contro il diritto al lavoro sono i due principi costituzionali, ampiamente riconosciuti, che nella vicenda dell’Ilva, dopo l’approvazione da parte del Governo Monti del decreto, poi convertito in legge dal Parlamento, scavalcando le direttive di sequestro preventivo dell’impianto impartite dalla magistratura per gravose ragioni di salute pubblica, hanno conosciuto una drammatica contrapposizione. I giudici tarantini hanno imputato alla norma varata dal Parlamento di concorrere ad una vera e propria istigazione a delinquere, ponendosi in fermo contrasto con il dovere dell’ordinamento di arginare ed impedire reati mediante l’operato dei pubblici ministeri “e l’eventuale sollecitazione del privato leso nei suoi diritti”. Il gip Patrizia Todisco, confermando la protesta, scrive nel ricorso “l’attività inquinante viene autorizzata per 36 mesi nonostante sia dannosa per la salute e l’ambiente”.
La normativa, secondo il giudice per le indagini preliminari, consentirebbe “al potere esecutivo di bloccare e neutralizzare la doverosa iniziativa della magistratura”. Le sentenze della Consulta vanno comunque rispettate, commenta all’Ansa il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, con riguardo alla sentenza che ha sancito la costituzionalità della legge 231. Il ministro Clini ribadisce come questa decisione converga nella responsabilità comune del recupero, “La decisione della consulta –ha dichiarato il ministro dell’Ambiente– impegna tutti a proseguire con rigore e rapidità nel programma per il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto: per prima l’azienda e poi tutte le amministrazione pubbliche, compreso il ministero dell’ambiente”. Secondo Clini “la sfida della compatibilità tra salute, ambiente e lavoro si può vincere ed ha bisogno del contributo leale e dell’impegno di tutti”. Sia l’avvocatura dello Stato, che ha rappresentato Governo e Parlamento, che l’Ilva durante l’udienza hanno sostenuto come fosse possibile raggiungere un punto di equilibrio tra diritto alla salute e diritto al lavoro senza necessitare di manovre invasive sul campo.
E la Corte Costituzionale da ragione a entrambe le parti. L’avvocato Luisa Torchia, unitamente al Professore Francesco Mucciarelli, portavoce dell’impianto, ha espresso l’opinione secondo cui la legge non legittima la garanzia di “alcuna immunità all’impresa. Il giudice penale può sindacare la validità degli atti del legislatore, ma non sostituisce il proprio potere a quello amministrativo”. In maniera sincrona giungono anche le dichiarazioni dei legali dello Stato, Gabriella Palmieri e Maurizio Borgo, secondo i quali “il decreto legge e la legge di conversione non hanno inciso sulla funzione giurisdizionale né sui sequestri”. Escono, dunque, sconfitti i magistrati tarantini ed il rappresentante legale di due imprenditori agricoli che si sono costituiti in giudizio perché indotti all’abbattimento dei rispettivi bestiami a causa dei veleni diffusi dall’impianto. L’avvocato Sergio Torsello, in merito alla decisione della Corte, ribatte “a Taranto abbiamo trenta morti all’anno. Non si può dire che agli interessi di produzione si debbano subordinare due morti al mese”. Anche le proteste dei cittadini non sembrano placarsi, proprio ieri un manipolo di delegati ha infatti manifestato dinanzi al Palazzo di Montecitorio per rivendicare il diritto di parte di tutti alla salute: “La nostra vita ha un valore inestimabile”. Ora il Governo dovrà fornire a Bruxelles gli opportuni chiarimenti con riguardo alle procedure di bonifica dell’Ilva e agli elementi di criticità indicati dal Garante.
Il tortuoso conflitto sull’Ilva, ora sfociato nella legge salva-Ilva che ha di fatto superato il provvedimento preposto al blocco dell’attività del siderurgico, è partito lo scorso luglio. Si ricordano di seguito le tappe che ne hanno segnato i principali risvolti evolutivi:
1) 26 luglio 2012: su richiesta della Procura, il gip di Taranto dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva, nominando quattro custodi giudiziari. Otto le persone arrestate, tra le quali Emilio Riva, il figlio Nicola e l’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso;
2) 6 novembre 2012: scatta una seconda ondata di arresti sulla base delle inchieste, rispettivamente, per disastro ambientale e per il cosiddetto ‘ambiente svenduto’. Sei le persone arrestate. Il gip fa sequestrare il prodotto finito e semilavorato giacente sulle banchine perché conseguito attraverso l’uso degli impianti già posti sotto sequestro (1,8 mln di tonnellate di acciaio per un valore di un miliardo di euro);
3) 3 dicembre 2012: il governo emana il decreto legge 207 che autorizza l’Ilva a produrre e riammette l’azienda al possesso dei beni, pur a fronte dei decreti di sequestro;
4) 5 dicembre 2012: la Procura restituisce gli impianti, tuttavia esprime parere negativo sulla restituzione dei prodotti riconsegnando la decisione al gip;
5) 11 dicembre 2012: il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco rigetta l’istanza di dissequestro dell’Ilva, si dichiara che la merce sulle banchine non può essere movimentata;
6) 20 dicembre 2012: il decreto legge del 3 dicembre viene convertito con modificazioni nella legge 231, la cosiddetta “salva-Ilva”, che entrerà in vigore il 4 gennaio successivo. L’Ilva viene autorizzata a commercializzare i prodotti finiti e semilavorati sui quali precedentemente ricadeva il sequestro;
7) 31 dicembre 2012: viene depositato alla Consulta il ricorso della procura di Taranto per conflitto di attribuzione nei confronti del governo sul decreto, successivamente convertito nella legge 231. La procura presenta, in seguito, il ricorso per conflitto di attribuzione anche contro la normativa di conversione;
8) 15 gennaio 2013: i giudici del Tribunale di Taranto sollevano dubbi di costituzionalità sulla legge e in particolare sull’art.3 che permette all’impianto siderurgico di commercializzare i prodotti finiti e semilavorati posti sotto sequestro;
9) 22 gennaio 2013: anche il gip del Tribunale di Taranto, accogliendo la richiesta della Procura, solleva la questione di legittimità costituzionale della legge 231 e trasmette gli atti alla Consulta. Nello specifico, conferma il gip, con gli articoli 1 e 3, la legge si pone “in stridente contrasto con il principio costituzionale della separazione tra i poteri dello Stato“;
10) 13 febbraio 2013: la Consulta giudica non ammissibili i due ricorsi sul conflitto di attribuzione avanzati dalla Procura in quanto oltrepassati dalla questione di illegittimità costituzionale sulla legge, posta prima dal Tribunale e poi dal gip;
11) 9 aprile 2013: la Consulta delibera sulle due questioni di illegittimità.
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