È il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato il papà metaforico del testo di base su cui si cercherà, nelle prossime settimane, di costruire una ostica riforma elettorale in previsione delle elezioni politiche 2018. O forse, si andrà alle urne già nel 2017?
La riforma elettorale
Andiamo per gradi. Lo scorso 23 maggio, la prima Commissione Affari Costituzionali a Montecitorio ha approvato il testo unificato di varie proposte di modifica della legge elettorale.
Un testo che, a detta dei maggiori rappresentanti delle forze politiche, potrà costituire l’arrivo della revisione della legge per l’elezione dei rappresentanti, ma ne sarà la base, in grado di incarnare spirito e, soprattutto, i punti di convergenza tra le forze politiche. Così, questo testo viene sottoposto al primo esame dai membri della Commissione, che sancirà di fatto l’anticamera della futura campagna elettorale. Dall’esito di questa operazione, infatti, dipenderanno non solo l’esecutivo in carica e quello successivo, ma anche le alleanze che contribuiranno a definire il futuro Parlamento fino al 2022.
La parola d’ordine, da qualche giorno a questa parte, è una sola: tedesco. Se per anni abbiamo infatti ironizzato, talvolta con un fondo di verità, sulle mire espansionistiche della Germania mediante l’euro e il mercato unico, evidentemente ci siamo assuefatti a tal punto che l’unico sistema in grado di sbloccare l’impasse che regna dallo scorso 4 dicembre sembra essere proprio il calco della rappresentanza nel Paese governato da Angela Merkel.
Dopo la caduta di Renzi e la parziale bocciatura dell’Italicum da parte della Corte costituzionale, infatti, lo spettro sarebbe quello di andare a votare con due norme dichiarate illegittime, rimaste monche per effetto delle decisioni dei giudici e sconfessate ormai da larghissima parte del Parlamento. Insomma, la riforma è prima di tutto un’urgenza democratica.
Poi, però, restano da accordare i vari partiti. E quella diplomatica, come noto, in questi casi è sempre la partita più difficile.
Il Partito democratico ha così abbozzato questo embrione di riforma che prevede un sistema per metà proporzionale e per metà maggioritario che pare possa essere emendato per assomigliare al sistema vigente in terra tedesca.
Il sistema tedesco
Con il nuovo sistema, a disposizione dell’elettore ci sarebbero due voti distinti: il primo per l’elezione in un collegio uninominale e il secondo per l’assegnazione complessiva dei seggi, che avviene in metodo proporzionale. Insomma, la vittoria nel collegio uninominale non assicurerebbe di per sé l’ingresso in Parlamento.
Solo la metà degli eletti, infatti, verrà scelta tramite il sistema dei collegi uninominali, e il numero di seggi complessivi a cui ogni partito potrà attingere verrà determinato con il risultato proporzionale. Questo aspetto differisce dal modello tedesco, dove invece il numero totale dei seggi parlamentari è variabile: ne consegue, dunque, che al variare della quota proporzionale, quando anche un partito dovesse aver guadagnato più collegi all’uninominale, questi verrebbero interamente premiati.
Un secondo aspetto di differenza rispetto alla scuola deutsche è il voto disgiunto: da noi, dovesse diventare legge il Rosatellum modificato, non verrebbe concesso di esprimere una preferenza per un candidato e dare il voto a una lista non collegata.
Rimane aperta la questione sbarramento: volendo traslare esattamente il meccanismo della Germania, questa dovrebbe attestarsi al 5%, ma si tratta di un’asticella che potrebbe escludere dalla ripartizione soggetti come Articolo 1- Mdp, Sinistra italiana, Ap di Alfano e anche Fratelli d’Italia, un conglomerato di forze molto diverse che potrebbe superare il 13% secondo i sondaggi: una quota di mancata rappresentanza forse troppo elevata, da indurre a ragionare su un possibile abbassamento al 3 o al 4%.
Le conseguenze politiche
In realtà, un sistema simile sembra adattasi molto bene a un tipo di maggioranza molto consolidato in Germania: la Grande Coalizione. Già a settembre, infatti, dovrebbe aprirsi il terzo mandato di Angela Merkel che richiederà l’appoggio dei Socialisti per garantire un governo con i numeri sufficienti.
Uno scenario simile potrebbe avverarsi in Italia tra meno di un anno, con il Pd e Forza Itala allettati di riproporre vecchie convergenze e i 5 Stelle che resteranno a guardare. Per il momento, il partito di Grillo ha dato il proprio assenso ai dialogo sulla riforma, ma nulla va dato per scontato in questa partita a poker. Neanche che, per effetto della cancellazione dei voucher o di qualsiasi altro valido motivo, Paolo Gentiloni possa rassegnare le dimissioni entro Ferragosto, portandoci a votare in ottobre.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento