Legge elettorale: i partiti trattano per le elezioni a novembre

Redazione 23/07/12
La sfida per il voto è cominciata e si disputerà in Parlamento, con il capo dello Stato e il presidente del Consiglio nelle vesti di mediatori interessati. Sarà una contesa piuttosto rapida perché, per avere le elezioni a novembre come si è proposto, i tempi burocratici sono risicatissimi e si chiuderà nei primi giorni di agosto. Dunque, qualora  questa settimana venga depositato alle Camere un testo per la riforma del Porcellum, vorrà dire che Pdl Pd e Udc avranno conseguito un accordo sul nuovo meccanismo di voto. L’immediata e naturale conseguenza sarà una comunione di intenti anche sull’apertura della campagna elettorale.

Monti ha lasciato che fossero i partiti a valutare la gestione dell’ultimo tratto di legislatura, mentre Napolitano ha determinato le precise condizioni rispetto all’idea di anticipare di qualche mese il ritorno alle urne, le forze di questo atipico “arco costituzionale” sono di fronte ora alla decisione finale. È una decisione complessa, e non certo per la disomogeneità intorno ai meccanismi di voto. E’ chiaro ormai che non è un problema tecnico, la questione è politica, si svolge attorno ai prossimi assetti di potere.

Scegliere di disgregare il governo di oggi, significa essere a conoscenza di come comporre il governo che verrà. E’ proprio qui che la trattativa si è arenata. Da una parte c’è Casini, che spinge affinché il Governo Monti abbia un proseguio, dall’altra c’è Bersani che – nel caso in cui il voto la determinasse  non si precluderebbe l’ipotesi della Grande Coalizione – ed in quel caso mirerebbe ad una soluzione «tedesca», con il leader del primo partito che crea una maggioranza e assume l’incarico di guidare l’esecutivo. In tutto questo  c’è poi Berlusconi che, pur di far parte della partita, è pronto a qualsiasi mediazione, anche se proprio il suo ritorno in campo presuppone un’ulteriore difficoltà nelle trattative, visto che Pd e Udc non sono disponibili ad averlo come interlocutore.

Le alternative dei vari modelli elettorali sono state tutte studiate, l’ultima mediazione graviterebbe attorno a un sistema proporzionale basato su collegi più piccoli che imporrebbero un incremento delle circoscrizioni, tre preferenze, un listino bloccato per il 25% degli eletti e una legge sui tetti di spesa per la campagna elettorale. Tuttavia finché la situazione politica resta tale, contraddistinta da questa stasi, non si può procedere. La questione è che i protagonisti della scena politica hanno bisogno di fare in fretta e sono i numeri a spiegarne il motivo; Pdl, Pd e Terzo polo occupano attualmente l’85% dei seggi parlamentari, prima delle Amministrative vantavano il 70% dei consensi, mentre oggi nei sondaggi toccano appena il 55%.

Dunque si sta verificando una emorragia di consensi fra quei partiti che da sempre hanno un ruolo principe sulla scena politica italiana, ecco perché si è spinto per le elezioni a novembre, ecco cosa ha convinto Monti al gesto, ecco perché Napolitano ha gettato le basi ma non si è opposto. La speculazione dei mercati è un evento difficilmente arginabile anche se, certamente, la stabilità politica può aiutarne il freno, ma è senza dubbio una conditio sine qua non per rispondere agli eventuali attacchi. I partiti che oggi reggono il governo necessitano di rafforzarsi con un voto popolare per poter fare – se richiesto – ulteriori scelte difficili in politica economica. Il leader dei centristi, il più solidale alleato di Monti, l’ha detto: «Un’altra manovra prima del voto nessuno può reggerla». Quanto meno non ha difettato di chiarezza.

Chi si è preso la briga e di certo il gusto, per citare De André, di farsi carico dell’onere di assecondare in Parlamento le riforme dei tecnici sa di respirare un’aria pesante al di fuori delle aule romane. Riprova è stata la scorsa settimana quando Alfano, Casini ed Enrico Letta, sono stati invitati dai giovani industriali per discutere privatamente di legge elettorale.  E’ stato in quella sede infatti che l’incontro da fertile terreno di confronto è diventato una rissa verbale, dalla platea un gruppo di imprenditori ha cominciato a rivolgersi agli ospiti con critiche sui provvedimenti del governo e un messaggio finale difficilmente equivocabile: «Fatela ‘sta legge elettorale. E metteteci le preferenze, così potremo licenziarvi tutti».

Tutto questo spiega come certe esternazioni di Monti non sono gradite dalla maggioranza che si ritrova combattuta tra l’approvazione di provvedimenti impopolari e le reazioni degli elettori. E’ suonuata fuori luogo quindi la citazione di De Gasperi fatta ieri dal premier: «Un politico guarda alle elezioni, uno statista alle future generazioni». «La retorica è cattiva consigliera», è stato il commento caustico di Cicchitto. E, per una volta almeno, è uno stato d’animo bipartisan. Persino Bersani non manca di raccontare come «ogni giorno mi ritrovo sotto la sede del partito esodati, disoccupati. E mica sto a palazzo Grazioli, io. La mia porta dà sulla strada». In sostanza, se è vero quanto dice  il Professore, e cioè che «servirà del tempo per raccogliere i frutti delle riforme», è altrettanto vero che più tempo passa, più i partiti di governo si stanno esasperando.

L’opzione del voto a novembre diventa così concreta come sostiene Quagliariello “non per volontà degli attori ma per necessità, impellenza, mancanza di alternativa”. Occorre però una nuova legge elettorale, è necessario un accordo sugli assetti futuri del sistema. Intanto è stato un lunedì di paura sui mercati, spread a 510, dopo un venerdì nero a cui – secondo Monti – ha contribuito per la sua parte quella dichiarazione «improvvida» del ministro spagnolo Montoro: «In cassa non abbiamo più un soldo». Non una ideona effettivamente, eppure questi sono i nostri governanti.

Alessandro Camillini

 

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