Proprio a palazzo Madama, la norma di bilancio ha incontrato molteplici rallentamenti, che hanno obbligato a continui rinvii per la presentazione in aula del testo. Quindi, si è arrivati alla presentazione lampo del 26 novembre, con tanto di fiducia affibbiata dal governo al maxiemendamento, dopo che la Commissione non era riuscita a licenziare un testo definitivo.
In questo modo, molte delle riforme inserite nel ddl approvato a palazzo Madama, sono passate in sordina e iniziano a emergere dai bassifondi di un testo amplissimo. Tra queste, nelle ultime ore, è riemersa l’imposta di bollo sui prodotti finanziari. Dal primo gennaio, infatti, il balzello salirà dallo 0,15% allo 0,2%, ossia un rincaro pari al 30%. Addirittura, in un primo momento era stato presentato un emendamento in Commissione che avrebbe spostato l’aliquota allo 0,25%, poi eliminato dalla versione del maxiemendamento che ha ricevuto l’ok in aula.
A finire nel mirino della nuova imposta di bollo, sempre che non arrivino modifiche alla Camera dei deputati, in primis i conti deposito, benché alcuni istituti di credito continuino ad accollarsi l’onere. E proprio qui potrebbe arrivare la doccia fredda per i risparmiatori: le banche potranno cambiare i termini degli accordi una volta misurata l’entità di quella che è stata già ribattezzata mini-patrimoniale.
Nel caso in cui questa eventualità prenda corpo, comunque, l’istituto sarà obbligato a segnalare le modifiche imminenti al cliente, il quale, entro due mesi, potrà sciogliere il vincolo senza incorrere in penalità e vedendosi riconosciute le condizioni di partenza nel momento della recessione.
Così, dal primo gennaio la vita per chi detiene strumenti finanziari potrebbe cambiare radicalmente, fermo restano la soglia minima di prelievo che dovrebbe rimanere immutata a 34,20 euro annui, la quale, secondo gli analisti, produce un aggravio sugli investimenti sotto i 22mila e 800 euro. Resta solo da vedere se alla Camera queste misure saranno confermate.
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