Non proprio, almeno dalle prime analisi “a caldo”. A raccontare le possibili evoluzioni della web tax inserita nel testo presentato alla Camera della legge di stabilità, Guido Scorza nel suo blog personale sul fattoquotidiano.it
Tanto per cominciare, la versione originale della web tax è stata sensibilmente ridotta: della proposta iniziale, solo il seocondo comma è stato inserito nel testo approdato in aula.
Ora, infatti, la norma verrà applicata solo ai servizi promozionali, e non a tutte le attività commerciali presenti sulla rete, di modo che solo chi acquisterà spazi pubblicitari sarà obbligato a detenere regolare partita Iva.
Una modifica, spiega Scorza, che ridurrebbe l’impatto della tassa senza portare benefici di sorta all’erario. Ma quel che più preme, è l’arrivo di una legge “anti-europea, di dubbia legittimità costituzionale, sostanzialmente inapplicabile ed anacronistica“.
C’è il problema della territorialità, denuncia l’esperto, che potrebbe causare all’Italia l’apertura dell’ennesima infrazione in sede comunitaria: “La legge – continua Scorza nel suo intervento – è interamente costruita su un’idea di web che non esiste“, dove sarebbe valido un regime fiscale separato solo per i contenuti accessibili sul nostro Paese. Un’iniziativa, attacca, “da regimi autoritari come quello cinese”.
Insomma, per i clic sui banner pubblicitari, sarà necessario disporre di una partita Iva italiana per le aperture delle pagine in territorio italiano, mentre dall’estero resteranno valide le fatture emesse senza partita Iva. Un circolo vizioso che testimonia come, con la web tax, potrebbe complicarsi parecchio la vita degli inserzionisti digitali.
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