In dirittura d’arrivo per l’approvazione della legge di stabilità per il prossimo biennio, il governo ha strappato un parere positivo alle parti sociali, esclusa quella guidata da Susanna Camusso, per tarare su nuovi parametri i salari di produttività e il relativo regime fiscale di contribuzione.
Ma quali sono nello specifico i punti dell’accordo? Quali saranno gli effetti per i lavoratori e quali benefici porterà, alle casse dello Stato, una riforma lampo così contestata?
Per cominciare, il principio ispiratore del patto produttività è quello che vede i contratti prendere il sopravvento sui vincoli di stampo normativo, che troppo spesso relegano la contrattazione a un mero rituale delle posizioni inconciliabili.
Ebbene, dopo il via libera all’accordo, i tavoli delle parti sociali vengono investiti, sulla carta, di una maggiore autonomia proprio per quelle specifiche tematiche sulla quale, oggi, è l’ordinamento legislativo a farla da padrone.
Nella finalità di portare una ventata di novità all’interno delle imprese, così come introdotto dal decreto sviluppo e dalla sua versione bis, l’unica via di introdurre l’innovazione negli uffici è quella di consentire una maggior trasversalità delle competenze e favorirne la redistribuzione, ma in un piano di equiparabilità.
Quindi, sui canoni di orario, si è preferito spingere su modelli flessibili, proprio per tenere fede allo spirito “2.0” delle ultime riforme in tema di produttività interna, per dilungare i tempi di esercizio della manodopera e consentire, così, una curva costante verso l’alto dell’efficienza.
Oltre a queste aree votate allo sviluppo interno e alla razionalizzazione delle risorse a disposizione delle aziende, nell’accordo di produttività sono anche stati fissati alcuni paletti sull’incidenza fiscale a scapito dei contratti.
Per attutire questo peso, nell’accordo di produttività si è specificato di esonerare il salario con un’imposta in grado di rimpiazzare l’Irpef del 10% e tutto ciò per i redditi non al di sopra dei 40mila euro lordi annui.
Sempre sul fronte tributario, poi, si è tenuto conto del fatto che il protrarsi della flessione in termini produttivi stia avendo ripercussioni del tutto negative sul costo del lavoro generale. A questo proposito, il patto punta a ridurre il più possibile la zavorra del cuneo fiscale, che è “tale da disincentivare investimenti e occupazione”, recita il documento siglato.
Infine, si è messo per iscritto che il regolamento sulla rappresentanza sindacale approvato il 28 giugno 2011 dovrà essere applicato quanto prima, pena anche la possibilità di intervenire a finalità punitive contro le eventuali organizzazioni inadempienti.
Si prepara,dunque, il terreno per un nuovo scontro tra sindacati e governo, il quale, comunque, punta a liberare, tramite i punti di questo accordo, pur sempre “zoppo” negli imprimatur, fino a 2 miliardi di euro al 2014.
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