Il testo del provvedimento consegnato a palazzo Madama alla fine dello scorso mese di marzo, promette all’articolo 1 di attuare l’articolo 49 della Costituzione, che prevede come “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
In ragione di ciò, si giustificano i promotori del ddl della discordia, tutti quei comitati, gruppi di pressione e associazioni che abbiano preso parte alle ultime consultazioni elettorali, saranno di fatto estromessi se non dovessero adeguarsi ai canoni minimi di legittimità partitica, con l’indicazione di organi e ruoli dirigenziali, collegio dei revisori dei conti, casi di incompatibilità tra cariche, diritti e doveri degli iscritti e la libera consultazione delle liste degli iscritti, che deve essere concessa a ciascun appartenente. Tutte queste disposizioni sono contenute nell’articolo 3.
Quindi, nell’articolo 4 vengono stabiliti i criteri per l’indizione e lo svolgimento delle elezioni primarie, che devono essere richieste dai legali rappresentanti del partito entro quattro mesi dalla scadenza del termine per le candidature, che devono comunque tenersi in un solo giorno. In sostanza, se la legge dovesse essere approvata, verrebbe abolito ex lege il doppio turno che aveva caratterizzato le primarie per la candidatura a premier del centrosinistra tra Pier Luigi bersani e Matteo Renzi, con quest’ultimo che non aveva fatto mistero di ritenere le modalità di votazione alquanto inusuali.
Le norme fondamentali del decreto, però, sono contenute a partire dall’articolo 5, quello sulla trasparenza, dove la realizzazione di un sito internet del partito, contenente tutte le informazioni in merito alla sua organizzazione e, soprattutto, ai suoi rendiconti finanziari, viene messa addirittura al primo punto.
Passando all’articolo 6, invece, viene sancito inderogabilmente come “L’acquisizione della personalità giuridica e la pubblicazione dello statuto nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’articolo 8 costituiscono condizione per poter partecipare alle competizioni elettorali”. Questo è il punto che, più di ogni altro, ha mandato su tutte le furie Beppe Grillo e gli iscritti al MoVimento 5 Stelle, che non possiede tali qualità giuridiche, essendosi costituito come associazione nei mesi precedenti l’ultima tornata elettorale.
Dunque, viene stabilito come per accedere ai rimborsi elettorali “e qualsiasi ulteriore forma di finanziamento pubblico” sia necessario, innanzitutto, aver eletto almeno un candidato, ma, ancora in misura maggiore, aver dimostrato di rispettare i “requisiti di democrazia interna e di trasparenza”.
Dunque, le modalità di presentazione dello statuto in Gazzetta Ufficiale vengono enunciate all’articolo 8, dove viene richiesto di allegare simbolo, e codice etico: si tratta di condizioni imprescindibili affinché il partito possa accedere “ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie”.
Vai al testo del ddl che potrebbe escludere il MoVimento 5 Stelle dalle elezioni
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