Le tasse universitarie e il diritto allo studio

Rosalba Vitale 31/05/12
“Il diritto allo studio è un diritto soggettivo che trova il suo fondamento nei comma 3 e 4 dell’art. 34 della Costituzione nei quali si afferma il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i gradi più alti degli studi nonché il dovere della Repubblica a rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze da attribuire mediante concorso”, così lo descrive Wikipedia.

Alla voce Tasse d’iscrizione, l’enciclopedia libera più autorevole del web ancora afferma: “Per garantire il diritto allo studio, lo Stato prevede una quota massima di iscrizione che le scuole pubbliche possono richiedere ai loro studenti. Le università, infatti, pur godendo di autonomia finanziaria e gestionale, non possono fissare tasse d’iscrizione superiori a questa soglia, che è un vincolo per il buget.

Il massimale non è fissato come un valore assoluto, riguarda la quota di spese degli atenei che può essere finanziata con le tasse di iscrizione, quota che non può essere superare il 20% delle uscite dell’ateneo.

Il D.P.R. n. 306 del 25 luglio 1997 regola la disciplina in materia di contributi universitari. Lo schema di decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 29 settembre 2001 prevedeva esplicitamente che gli studenti non potessero contribuire per una quota superiori al 20% dell’importo annuale trasferito dallo Stato. Il massimale, quindi, non è collegato direttamente alle uscite dell’università, ma alla quota che lo Stato decide di coprire con dei trasferimenti agli atenei”.

Pertanto le tasse universitarie rappresentano una parte delle risorse a disposizione dell’università per coprire i propri costi.

Esse si compongono di importi fissi, e variabile in base al reddito autocertificato.

Le aliquote previste dall’ ordinamento italiano per scaglione di reddito vanno dal 23% al 41% con eccezione per i redditi oltre i 75.000,00 euro con aliquota è del 43%.

Da ciò ne derivano importanti conseguenze sul piano giuridico:

1) Le aliquote colpiscono tutte le fasce di reddito medie alte, trascurando quelle altissime sul quale il legislatore non riesce a colpire. Infatti nello scaglione di reddito di oltre 75.000,00 euro con aliquota 43% vengono inglobate anche quelli che superano di gran lunga le 75.000,00 euro. Ponendosi in aperto contrasto all’ art. 53 cost. secondo cui “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

2) Equiparazione di tasse universitarie sud e nord Italia.

Lo studente che vive al sud è penalizzato rispetto allo studente del nord per vari ordini di motivi:

primo tra tutti percepisce un reddito minore, tuttavia è tassato alla stessa maniera di chi risiede al nord che percepisce un reddito maggiore.

Inoltre i servizi offerti agli studenti del sud non sono uguali a quelli del nord .

Infatti, si legge, nella Carta dei Servizi per il Diritto allo Studio Universitario, che l’Università si impegna a fornire ai propri utenti un servizio di qualità rispondente ai principi fondamentali sull’erogazione dei servizi garantendo parità di trattamento, a parità di condizioni del servizio prestato, sia fra le diverse aree geografiche di utenza, sia fra le diverse categorie o fasce di utenti.

Norme che poste alla luce dell’ art. 3 della costituzione violano apertamente il principio di uguaglianza.

Pertanto, per un pieno godimento del diritto allo studio è auspicabile, che lo Stato preveda una normativa in cui si differenziano gli studenti in base alla provenienza e al reddito con la conseguenza di caricare i più abbienti in proporzioni maggiori rispetto a chi vive in condizioni ristrette.

Rosalba Vitale

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