Le registrazioni di conversazioni tra presenti e il caso De Girolamo

Da qualche settimana è scoppiato tra le mani del Governo Letta il caso De Girolamo e precisamente la questione riguardante le esternazioni del Ministro dell’Agricoltura presso la propria abitazione in occasione di un incontro di natura soggettivamente privata, considerato il contesto e la vicinanza tra i presenti, ma oggettivamente pubblica in quanto gli altri interlocutori erano anche soggetti pubblici (Dirigenti ASL, etc.) e la materia trattata era di natura squisitamente pubblica.

L’epilogo, dopo una difesa strenua della diretta interessata e delle persone a lei vicine, è di oggi e consiste nelle dimissioni della medesima dal suo incarico ministeriale.

Nelle settimane scorse il ministro preliminarmente, senza entrare nel merito di quelle che definiva “intercettazioni”, affermava che le stesse erano state “perpetrate” illegalmente e che avrebbe fatte valere le sue ragioni nelle apposite sedi giudiziarie.

La vicenda ed i propri profili giuridici hanno sin da subito mostrato una divergenza da quello che è l’istituto processuale previsto in materia di intercettazioni, siano esse telefoniche o di altro genere, ed invece una propensione, come meglio si spiegherà ora, per quell’istituto inteso come registrazione di conversazione tra presenti.

Urge, dunque, per capire di cosa parlasse la ministra, distinguere i due istituti giuridici e valutare quale si può meglio attagliare ai fatti per cui la ex ministra, oggi, come confermano i media nazionali, risulta indagata dai pm di Benevento.

Le intercettazioni, che possono essere di più tipi (da quelle telefoniche a quelle ambientali e tra presenti, a quelle informatiche e telematiche) sono regolamentate e previste dagli artt. 266 e 266 bis del c.p.p. per una serie bene determinate di delitti quali:

a. delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusone superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 de c.p.p.;

b. delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni determinati a norma dell’art. 4;

c. delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d. delitti concernenti le armi e le sostanze stupefacenti;

e. delitti di contrabbando;

f. reati di giuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia, o disturbo alle persone col mezzo del telefono.

f. bis delitti previsti dall’art. 600 tre terzo comma del codice penale, anchese relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater 1 del medesimo codice.

Il secondo comma dell’art. 266 aggiunge che per questa serie di delitti è prevista anche l’ipotesi di un’intercettazione tra presenti, ovvero intercettazione di comunicazioni tra presenti e se queste avvengono non in luogo pubblico o aperto al pubblico, le stesse sono ammesse solo se vi è un fondato motivo che si stia compiendo proprio ivi una di quelle attività delittuose di cui all’art. 266 c. 1° del c.p.p., a pena di inammissibilità di tutte le attività poste alla costituzione delle successive prove.

Non bastano comunque solo questi presupposti di ordine penale per realizzare quelle condizioni giuridiche affinché si possano considerare legittime le intercettazioni di cui agli articoli predetti, perché necessitano altri presupposti di ordine soggettivo e oggettivo che devono essere poste al vaglio prima del p.m. e poi del GIP, che ne autorizza e ne legittima così la realizzazione.

Questi presupposti sono i gravi indizi di reato e l’indispensabilità, ai fini della prosecuzione delle indagini, dell’intercettazione.

Le operazioni di intercettazioni devono essere espletate dal PM che può delegare soltanto degli ufficiali di polizia giudiziaria. Qualora le stesse siano state eseguite fuori dai casi consentiti o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 del c.p.p.

(Presupposti e forme del provvedimento) e 268 c. 1° e 3° (Esecuzione delle operazioni) e cioè quanto attiene la verbalizzazione ed i mezzi utilizzati per le operazioni di intercettazioni e per cui sono previsti esclusivamente gli impianti installati presso la Procura della Repubblica e solo in caso eccezionale di insufficienza di questi, anche di quelli installati presso gli impianti pubblici o in dotazioni alla polizia giudiziaria.

Cosa diversa sono le registrazioni tra presenti o telefoniche, da parte di uno degli interlocutori, che non necessitano dell’autorizzazione del GIP ai sensi dell’art. 267 c.p.p. in quanto non sono considerate intercettazioni ma sostanzialmente una particolare forma di documentazione, che non è sottoposta alle limitazioni, alle formalità ed ai presupposti propri delle intercettazioni.

Più volte la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione stabilendo la liceità di esse quando le stesse vengono espletate all’interno di determinati limiti di contenimento relativamente alla diffusione delle medesime e di cui lo scopo fondamentale deve essere quello della tutela di un diritto proprio od altrui, non risultando così illecita l’attività di registrazione di una conversazione tra soggetti presenti, mentre un generico diritto alla “privacy” verrebbe violato solamente quando la conversazione venisse diffusa per scopi diversi dalla tutela di un diritto.

La ratio della legittimazione delle registrazioni di conversazione consiste nel fatto che gli interlocutori sono a conoscenza che una determinata conversazione può essere documentata mediante una registrazione e che quindi ne accettano il rischio e che queste non vengano effettuate per conto di terzi, siano essi soggetti privati o appartenenti al sistema giudiziario.

In tal senso si è proprio espressa la Suprema Corte (Cass. Pen. sez III, 13.05.2011, n. 18908) nell’affermare che: “Non è illecito registrare una conversazione perchè chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione, ma è violata la privacy se si diffonde la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui. Sia l’art. 23, sia l’art. 167, comma 2

Cod. Privacy, infatti, dispongono che i reati ivi previsti sono punibili soltanto “se dal fatto deriva nocumento” e che pertanto, essendo accettabile il rischio che una determinata conversazione possa essere documentata mediante registrazione, non si ritiene essere stata violata alcuna delle previsioni della normativa sulla “privacy” ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. n. 196/2003 poiché, non trattandosi di dati sensibili o giudiziari o comunque idonei a rivelare lo stato di salute, non si prospetta alcuna violazione e che se i dati, oggetto della registrazione, non sono peraltro destinati alla comunicazione sistematica od alla diffusione, possono essere liberamente trattati senza dover preventivamente informare l’interlocutore e senza dover ottenere preventivamente, elemento di enorme importanza sotto il profilo della legittimazione dell’atto, il suo consenso, come invece avviene per altre ipotesi previste dal D.L. 196/2003.

Dunque, per tali motivazioni, risulta lecita una qualsiasi registrazione tra presenti e non costituisce reato in quanto trattasi esclusivamente di una forma di memorizzazione tecnologica di fatti e contenuti cristallizzati così nel tempo, registrazione di cui l’autore può farne l’uso che meglio gli aggrada, all’interno dei limiti su esposti, anche a fini di prova nel processo, secondo la  disposizione contemplata nell’art. 234 c.p.p..

Una riserva è posta, invece, in caso di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondi sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa e di cui quindi è sostanzialmente fatto divieto.

Nel tempo vi sono stati altalenanti dibattiti sulla legittima utilizzazione delle registrazioni tra presenti nel processo, ma anche su tale aspetto la Suprema Corte (Cass. Pen. sez. I, 8 giugno 1999, n. 7239) è stata tranchant avendo ritenuto manifestamente infondata un’ipotetica questione di legittimità costituzionale, prospettata in riferimento agli artt. 15 e 24 della Costituzione, in quanto la divulgazione del contenuto della registrazione non incide sulla libertà e segretezza delle comunicazioni, poiché non costituisce un’intromissione dall’esterno in sfere private e inviolabili, ma riguarda solo l’interesse alla riservatezza, diritto peraltro non ancora tutelato costituzionalmente, che ad ogni modo risulta subordinato ad un interesse pubblico all’accertamento della verità preminente.

Appare evidente che la vicenda del ministro, così come prospettata dai media, rientra nella seconda ipotesi delle registrazioni tra presenti, fatto che garantisce la legittimità delle stesse e della loro piena utilizzazione anche in sede processuale.

Nel caso di specie si trattava di una conversazione avvenuta a casa della ministra tra persone a lei note e contigue, non inviate da terzi o da personale della polizia giudiziaria, fatto questo che eventualmente ne avrebbe invece inficiato la configurazione giuridica perché ci si troverebbe nell’istituto delle intercettazioni, soggette a tutta la disciplina anzi specificata e pertanto risulta esclusa ogni responsabilità penale in capo a colui o coloro che abbiano effettuato le registrazione della conversazione in oggetto.

 

Carmelo Cataldi

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