Le donne sanno riconoscere la G? A proposito di borse, scarpe (e null’altro)

Con una opinion di 104 pagine del giudice Shira Scheindlin, la Corte Distrettuale degli Stati Uniti ha risolto una battaglia legale durata tre anni ed ha accolto la domanda della Gucci contro la Guess, volta a dichiarare l’illegittimità dell’uso – da parte di quest’ultima società – del marchio formato da quattro G, utilizzato da alcuni prodotti immessi sul mercato dalla licenziataria Marc Fisher Footwear.

A giudizio dell’attrice, la lettera G, nel settore delle borse per donna, individuerebbe unicamente i propri prodotti ed ogni altro utilizzo da parte di imprese concorrenti sarebbe idoneo a determinare una potenziale confusione nel pubblico dei consumatori.

Sebbene la Corte abbia accolto la domanda della Gucci, dichiarando l’illegittimità dell’uso della G, quale marchio figurativo, da parte di altre imprese, è stata sensibilmente ridimensionata la richiesta risarcitoria avanzata dalla griffe fiorentina: difatti, i giudici americani hanno riconosciuto un risarcimento pari a 4,66 milioni di dollari, a fronte di una richiesta di ben 200 milioni di dollari.

A parere di chi scrive, tuttavia, si tratta comunque di una vittoria importante per la società italiana, per almeno due ragioni.

La prima è strettamente giuridica. L’esito della controversia, difatti, era tutt’altro che scontato: non bisogna dimenticare che il marchio rappresentato da una lettera dell’alfabeto è considerato marchio debole (in tali termini, proprio in relazione alla G di Gucci, ebbe modo di esprimersi il Tribunale di Palermo in una decisione dei primi anni novanta) e che, pertanto, detto marchio sarebbe “tutelabile solo se il concorrente, nell’avvalersi della medesima rappresentazione grafica, ometta di adottare anche lievi modificazioni od aggiunte, sufficientemente rilevanti da essere percepiti dai destinatari del prodotto in ragione della loro particolare qualificazione”.

La seconda valutazione è di ordine, per dir così, economico.

Ciò che realmente contava, in questo caso, non era il ritorno economico-monetario dell’azione giudiziaria intrapresa, quanto il fatto di limitare l’utilizzo di determinati marchi figurativi (peraltro riportarti direttamente sui prodotti messi in commercio), limitandone le capacità di penetrazione nei singoli mercati nazionali.

È evidente, quindi, che quella della Gucci sia una vittoria importante sotto il profilo concorrenziale, prima ancora che per la protezione del marchio in sé. Una vittoria che dovrebbe determinare una modifica di molti prodotti della Guess, così come delle strategie pubblicitarie.

L’unica cosa sicura, al momento, quando ancora nulla si sa di un possibile un giudizio di appello, è che la parola fine, nella guerra delle G, sia ancora lontana dall’esser scritta.

 

Giovanni Maria Riccio

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