In gioco potrebbero esserci tra i 10 e i 12 miliardi di euro, se non addirittura più. Ad essi si aggiungono i 6 miliardi in sette anni (quattro milioni per l’Italia) del piano approvato da Bruxelles della youth garantee, escogitato par assicurare a tutti i giovani un’opportunità occupazionale o formativa una volta rimasti senza lavoro o terminati gli studi. Alla linea abbracciata da Roma si sono già uniformati il governo francese e soprattutto quello spagnolo. Il governo italiano ha ottenuto il consenso interno dei partiti della coalizione, Pd, Pdl e Scelta civica; nessuno ha avanzato obiezioni. Le aspettative che sperano nella concretizzazione di 100 mila nuovi posti di lavoro under 24, quelli ipotizzati dal ministro Giovannini, sono dunque trasversali. E la grave sottovalutazione della questione giovanile si è tradotta anche in un’ampia conformità generazionale alla lista di Beppe Grillo.
Al fine di poter sottoscrivere nei dettagli il pacchetto giovani, l’esecutivo ha deciso prima di aprire il confronto con le parti sociali. E’ fissato per mercoledì prossimo l’incontro tra il ministro Giovannini, i sindacati, Cgil, Cisl, Uil e Ugl, la Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali. E’ già stato anticipato che non si tratterà di un vero e proprio negoziato, piuttosto di uno scambio di vedute. “È un incontro per ascoltare e per ragionare insieme. Non una trattativa”, ha ribadito il ministro del Lavoro. Per il momento dunque nessun tipo di concertazione si prospetta all’orizzonte a rendere presumibilmente ancora più complessa la convivenza nella maggioranza tra centrodestra e centrosinistra. Come già largamente collaudato in passato, infatti, quello del lavoro non è un tema unificante. E tutti i blocchi sociali di riferimento alle due aree politiche non tarderanno certo ad alzare le rispettive voci.
Analogo dibattito, d’altronde, si è già verificato sul rinvio dell’Imu. Al governo in realtà non serve altro che esperienza sul campo, le pratiche e le buone prassi valgono più delle proposte e dei fiumi di parole. Il principio è ancor più valido in riferimento all’applicazione dell’ultima riforma del lavoro, quella firmata dall’ex ministro Elsa Fornero. Su questa direzione Enrico Giovannini ha più volte attirato l’attenzione sulla parola “manutenzione“. Il ministro non lancia l’avvio di una nuova riforma, l’intenzione pubblicizzata è invece quella di continuare a muoversi entro il solco tracciato dalla legge ’92, monitorando gli effetti della normativa, così come la stessa prevede.
“Ci sono interventi costosi, altri no. E per quelli che costano bisognerà aspettare le conclusioni del Consiglio europeo di giugno”, ha annunciato Giovannini. Tra i secondi interventi sono comprese le correzioni ai contratti a termine, la strada più battuta per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Oltre il 70% delle assunzioni avviene con contratti a tempo determinato. La legge Fornero ha cambiato, prolungandolo, l’intervallo temporale tra un rinnovo e un altro. La manovra ha stabilito che per il rinnovo del contratto con una durata fino a sei mesi debbano intercorrerne almeno due mesi (anziché i dieci giorni ante riforma), mentre con riguardo ai contratti con una durata superiore debbano trascorrere tre mesi (anziché venti giorni). Sindacati e Confindustria sono uniti nel sostenere l’urgenza di fare un passo indietro. È la stessa legge, d’altronde, a prevedere la possibilità che le parti ritornino, come già peraltro fatto in determinati settori, ai tradizionali intervalli.
Il governo, dal canto suo, si è pronunciato a favore. Su questo fronte sembrano non erigersi ostacoli. E probabilmente non dovrebbero essercene nemmeno in relazione all’ipotesi di estendere interamente ad un anno la possibilità di non indicare la causa per la stipula di un contratto a termine, per il momento solo limitata al primo contratto con durata massima di dodici mesi. Le imprese, in particolar modo quelle piccole, premono sulla richiesta di sorpassare l’aggravio contributivo dell’1,4% sui contratti a termine destinato a finanziare la nuova Aspi (l’assicurazione sociale per l’impiego). Aggravio, questo, che si recupera se la forma contrattuale stipulata diventa a tempo indeterminato. Altra prospettiva largamente annunciata dal ministro del Lavoro è quella della cosiddetta staffetta anziani-giovani sul posto di lavoro. “È un’idea”, ha continuato a sostenere Giovannini. Un istituto, tra l’altro, già in fase di sperimentazione in alcune regioni come la Lombardia e l’Emilia Romagna. Quella annunciata tuttavia è un’idea non priva di costi dal momento che il lavoratore anziano, slittando nel part time, per non perdere i contributi pieni avrebbe bisogno di un’integrazione da parte dello Stato.
Nel corso del suo intervento al Senato, il ministro Giovannini ha di fatto posto dei freni alla prospettiva, non certo poco dispendiosa, di contrarre il costo del lavoro per i giovani assunti. Il capo del dicastero del Lavoro è tornato ad affermare come gli studi eseguiti all’estero sugli effetti della decontribuzione e defiscalizzazione annunciano, da soli, la necessità di realizzare “diverse condizioni perché abbiano effetto“. “Non è detto che nell’attuale fase economica questa sia necessariamente una priorità“, ha poi aggiunto. Per ora, dunque, pollice verso. Considerando poi che in Italia quando il governo Prodi avviò, nel 2007, la riduzione del 5% del cosiddetto cuneo fiscale non si constatarono speciali effetti positivi, l’esecutivo Letta sembra oggi puntare più sulla riforma dei centri per l’impiego. Una delega affidata al governo è scaduta, si tratterebbe quindi di presentarla nuovamente. “Bisogna prendersi cura dei giovani”, ha rimarcato Giovannini. E questo comporta di fare in modo che un giovane senza lavoro venga assistito nella ricerca di un impiego, come accade nel paesi nord europei, gli stessi che rivelano infatti i tassi di disoccupazione più bassi.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento