L’audizione dell’AVCP, i bandi tipo ed il costo del lavoro

I numeri sono noti; 30.000 stazioni appaltanti e circa 60.000 operatori economici pendono dalla bocca dell’AVCP per conoscere le determinazioni che assumerà sulle problematiche connesse alla predisposizione dei bandi tipo, nonché in tema di costo del personale, da indicare nei bandi. Tutto ha avuto origine dall’emanazione del Decreto Sviluppo poi convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 12 luglio ed entrata in vigore il giorno successivo.

Preoccupa tutti gli operatori l’introduzione del cosiddetto principio di tassatività delle cause di esclusione e l’enigma della determinazione delle spese relative al “costo del personale” valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e del costo delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro al netto dei quali deve essere individuata l’offerta migliore.

Dall’attività di consultazione del 29 settembre 2011, arriverà un modello procedimentale condiviso e fondato su un comune iter interpretativo ?

Arriveranno sicuramente i bandi-tipo; ma le spese relative al “costo del personale” troveranno una loro definitiva collocazione, prima o dopo l’avvio delle procedure di gara?

Prima di illustrare sommariamente i due “punti di vista” intervenuti sul tema, è necessario rivedere gli interventi che il legislatore ha “coordinato” sul codice e sul regolamento per rendere applicabile le nuove disposizioni introdotte da un emendamento dell’ex ministro del lavoro Cesare Damiano che in un intervista “chiarisce” il proprio obiettivo: “Sono soddisfatto per l’accoglimento nel D.L. Sviluppo del mio emendamento sul tema degli appalti al massimo ribasso: scorporare dal loro importo il costo del lavoro calcolato sulle retribuzioni stabilite dai contratti nazionali di categoria è una misura di civiltà che impedisce l’utilizzo di lavoratori al nero. L’approvazione di questo emendamento favorisce la trasparenza delle retribuzioni e le forme di lavoro regolari.”

Ma anche dall’attività delle commissioni V e VI della Camera, nella giornata del 14 giugno 2011 in cui era espresso parere favorevole sull’emendamento, si faceva espresso riferimento all’eliminazione del costo della manodopera dalla base di gara, al fine di disincentivare il lavoro nero.

A questa lettura contribuivano i tecnici degli uffici legislativi di Camera e Senato che inserivano, nel Decreto Sviluppo, in fase di conversione, le seguenti modifiche:

CODICE:

E’ introdotto il famigerato comma 3bis all’art.81:

3-bis. L’offerta migliore è altresì determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più significative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

E’ abrogato il comma 2, lettera g) dell’art.87 che prevedeva:

2. Le giustificazioni possono riguardare, a titolo esemplificativo:

a) ……………………………

g) il costo del lavoro come determinato periodicamente in apposite tabelle dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale e assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali; in mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

REGOLAMENTO:

E’ abrogato il comma 2, dell’art.16 che prevedeva:

2**. L’importo dei lavori a misura, a corpo ed in economia deve essere suddiviso in importo per l’esecuzione delle lavorazioni ed importo per l’attuazione dei piani di sicurezza.

(Si rammenta che l’art.16 del DPR 207/2010 reca la disciplina dei quadri economici dei progetti di lavori pubblici – n.d.r.)

La combinazione delle citate tre disposizioni non dovrebbe lasciare dubbi, all’operatore, sulla portata dell’innovazione introdotta dal comma 3bis dell’art.81 del Codice.

L’abrogazione della lett. g) del comma 2 dell’art. 87 del Codice, anche se avventata per varie ragioni che in questa sede non appare opportuno richiamare, porta ed escludere la possibilità che le giustificazioni possano riguardare il costo del lavoro (in fase successiva all’avvio delle procedure di gara).

Ma ancora più troncante appare la seconda disposizione su una delle due tesi interpretative (quella della verifica postuma del costo del lavoro) attualmente contrapposte sul momento di applicazione dell’art.81, comma 3bis del Codice.

Perché gli uffici legislativi hanno voluto inserire l’abrogazione dell’art. 16, comma 2 del regolamento, nel Decreto Sviluppo, che disciplinava l’articolazione del costo complessivo del lavoro pubblico ?

Non sembra esservi soluzione alternativa all’applicazione testuale della disposizione dell’art.81 comma 3bis, coordinata con l’art.86, comma 3bis (non interessato dal Decreto Sviluppo) e con l’art.39 del regolamento.

Sembra che sia stato dimenticato, da parte di vari commentatori, che un obbligo preesistente in tema di costo del lavoro è già presente proprio nel comma 3bis dell’art. 86 secondo cui:

“…3-bis. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.”

Se non si tratta di mera enunciazione di principio, già prima del comma 3bis dell’art. 81 era obbligo delle stazioni appaltanti valutare il costo del lavoro che, ovviamente non può essere diverso, rispetto a quello, con diversa denominazione, introdotto dalla legge di conversione del decreto sviluppo.

Sulle modalità di valutazione, il regolamento appare idoneo, in linea di principio, a definirne contenuti e criteri. Basta ricordare infatti che secondo il DPR 207/2010 il quadro di incidenza della manodopera, di cui all’art.39 comma 3, è il documento sintetico che indica, con riferimento allo specifico contratto, il costo del lavoro di cui all’articolo 86, comma 3-bis, del codice. Il quadro definisce l’incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l’opera o il lavoro.

Dunque almeno per i lavori, se non vogliamo ammettere l’esistenza di due costi diversi del lavoro (art. 81 comma 3bis e art. 86 comma 3bis), la modalità di valutazione di tale costo è definita dal regolamento e dunque non dovrebbe scandalizzare la revisione del quadro economico imposta dall’abrogazione del comma 2 dell’art. 16 del medesimo regolamento.

Criticità diverse presenta la valutazione delle spese del personale nella predisposizione delle gare d’appalto negli appalti di servizi e forniture. Ma anche in questo caso, come già visto, l’obbligo era preesistente.

Le tante vituperate e coraggiose prime indicazioni, per l’applicazione delle modificazioni introdotte all’art. 81 del codice dei contratti pubblici dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, di conversione del D.L. 70/2011, rese pubbliche immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge stessa, sono un’ottima base su cui sviluppare tutte le criticità, comunque presenti, in una disposizione che presenta non pochi dubbi di compatibilità comunitaria.

Pur essendo condivisibili buona parte delle osservazioni avanzate da varia commentatori della norma chi opera nel fronte è chiamato ad applicarla senza ma e senza se prestando quell’attenzione fino ad oggi più formale che sostanziale all’obbligo comunque presente della valutazione …che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro.

L’Autorità di Vigilanza nel documento di consultazione, destinato a sollecitare riscontri e suggerimenti sui temi della riunione del 29 settembre 2011, aveva evidenziato le criticità dell’art. 81, comma 3 bis, prospettando una possibile interpretazione che escludeva l’obbligo di indicare nel bando di gara l’importo delle spese relative al costo del personale da non assoggettare a ribasso considerando che “….si avrebbe l’effetto di incentivare le imprese a presentare ribassi maggiori al crescere della loro produttività; tali ribassi non sarebbero verificabili in alcun modo, se non con riferimento al costo dei materiali, dei noli a caldo e a freddo, delle attrezzature e delle spese generali, nonché all’utile. Evidentemente l’effetto concreto e finale che, in tal caso, si verrebbe a determinare non appare conforme all’obiettivo di contrasto al lavoro irregolare che si è prefisso il legislatore”. Secondo questa lettura, in buona parte condivisa dai vari critici dell’art.81 comma 3bis, solo in sede di verifica di congruità sull’aggiudicatario con procedure codificate e più rigorose sarebbe possibile pervenire alla definitiva valutazione delle spese relative costo del personale.

Appare evidente il contrasto di tale “interpretazione” con il sistema di modifiche coordinate introdotte nel codice e nel regolamento prima illustrate.

Lasciando fermo il quadro normativo precedente al 12 luglio 2011 perché non percorrere vie diverse, oltre alla valutazione di congruità, già disciplinata, del costo del lavoro, per attribuire ulteriori strumenti di controllo e premialità alle stazioni appaltanti?

Il legislatore siciliano, con la nuova L.R. 12 luglio 2011, n.12, ha introdotto un obbligo, per le stazioni appaltanti siciliane che utilizzano per gli appalti e le concessioni il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In tal caso “Nella valutazione dell’offerta tecnica almeno un quarto e non più di un terzo del punteggio complessivo è attribuito in relazione al costo del lavoro ed alla previsione dell’utile di impresa, determinato, per le finalità del presente articolo in misura pari al 10 per cento dell’offerta.”. Originale ma semplice e, si ritiene, più efficace.

E’ avviso di chi scrive che solo un intervento del legislatore potrà definire e rimuovere le criticità rilevate dagli operatori. Le parziali interpretazioni semplificatrici, che trascurano i dettagli delle novità regolamentari e legislative introdotte dalla legge 106/2011, possono condurre a soluzioni suggestive ma pericolose.

E’ auspicabile l’intervento del legislatore che, nelle more di un più serio coordinamento delle disposizioni preesistenti alle innovazioni del decreto sviluppo, sospenda l’applicazione dell’art. 81, comma 3 bis, del codice. Fino ad allora la norma va applicata.

Accursio Pippo Oliveri

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