L’assegno di mantenimento in favore dei figli e la nuova incronguenza internazional-privatistica

Caso ipotetico: Un cittadino italiano, residente in Italia, ex marito di una donna tedesca (residente nel suo paese), chiede la revisione dell’assegno di mantenimento per la figlia di quattro anni, che vive con la madre. I due ex coniugi al momento della domanda di scioglimento del matrimonio, conducono la loro vita matrimoniale in Italia; pertanto, al loro divorzio viene applicata la legge italiana.

L’uomo, però, nella richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento (successiva di qualche anno allo scioglimento del vincolo matrimoniale) chiede esplicitamente, ed innovativamente, che venga applicata alla stessa revisione ‘’la più conveniente’’ legge tedesca perché risultano essere mutate le circostanze esistenti in precedenza: l’ex moglie, infatti, dopo lo scioglimento del matrimonio ha mutato residenza, trasferendola nel suo paese, ove risiede stabilmente con la figlia minore. Va precisato, inoltre, che la donna, post matrimonio, pur avendo la possibilità di lavorare vi rinuncia completamente perché ritiene opportuno dedicarsi alla figlia tutto il tempo e pretende che l’ex marito continui a erogarle un cospicuo assegno, secondo la legge italiana.

Ebbene, la normativa italiana in materia di obblighi patrimoniali successivi alla separazione e al divorzio è molto chiara: innanzitutto, con l’affidamento condiviso entrambi i genitori conservano l’esercizio della potestà che deve avvenire in modo necessariamente congiunto solo per le decisioni di maggiore interesse per il figlio (relative all’istruzione, all’educazione alla salute), mentre, per quelle relative alla gestione ordinaria, può avvenire anche in modo disgiunto, purchè entro le direttive di massima che sono state concordate per l’educazione e la crescita del minore, ex art. 155.3 c.c.

Andando nello specifico, con ‘’il provvedimento’’ di affidamento condiviso il giudice fissa altresì i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, nonché la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione della prole, art. 155.2 c.c.

In attuazione del principio di eguaglianza tra i coniugi, l’art. 155 c.c., impone a ciascun genitore di provvedere al mantenimento dei figli secondo il criterio di proporzionalità.

Dal punto di vista economico ed applicativo, si assiste, in realtà, ad un onere di mantenimento ‘’indiretto’’ a carico del genitore non collocatario mediante il versamento di un assegno periodico, ad onta della previsione del mantenimento diretto dei figli, di cui all’art. 155.4 c.c., che avrebbe, se attuato nella pratica!, coinvolto entrambi i genitori co-affidatari, attraverso la diretta fornitura di beni e servizi di cui abbisognano i figli.

Spostando l’attenzione alla disciplina internazional-privatistica, o meglio comunitaria, emerge in materia un innovativo Regolamento, il n. 1259/2010 (che entrerà in vigore nel 2012). Quest’ultimo, approvato in seguito alla decisione di avvalersi di una ‘’cooperazione rafforzata tra gli Stati membri’’, intende indicare una disciplina comune ed uniforme tra Paesi CE in materia di separazione e divorzio. Con questo intervento comunitario si vorrebbero evitare le ‘’migrazioni’’ negli Stati che offrono delle condizioni migliori per divorziare, rispetto al Paese di origine. Nonostante i migliori intenti, il Regolamento, all’art. 5, consentirà ancora ai coniugi-divorzianti di scegliere mediante differenti ‘’criteri di collegamento’’ la legge applicabile. Tra le diverse possibilità di scelta, emerge anche ‘’la legge della Stato di cui uno dei due coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo’’.

Ebbene, la normativa tedesca, in tal senso, appare più rispettosa del criterio di proporzionalità: l’onere di mantenimento in capo all’ex coniuge non affidatario risulta essere, infatti, meno gravoso poichè l’ex coniuge affidatario sarebbe in qualche modo ‘’costretto’’ a lavorare per contribuire al mantenimento della prole.

Ad affermarlo è una sentenza della Corte di Giustizia Federale Tedesca (Tribunale di ultima istanza), la quale ha stabilito che ‘’un genitore divorziato che si occupa di un figlio deve comunque trovare un impiego a tempo pieno. Non solo non può contare sugli alimenti dell’ex partner ma non può rivendicare il diritto ad un lavoro part-time per stare a casa con il figlio dopo il terzo anno di età’’. ‘’Esistono strutture, aggiunge la Corte Federale, in grado di accogliere il minore dopo la fine del normale orario scolastico. Secondo la Corte tedesca: ‘’mancano delle ragioni valide per non lasciare una bambina che ha più di tre anni in un doposcuola’’.

Insomma, il caso trattato non appare semplice.

Ad oggi, i giudici italiani e i giudici tedeschi, in tema di assegno di mantenimento, si spingono verso due direzioni sostanzialmente differenti. A seconda della scelta che i divorzianti fanno, rispetto alla legge da applicare al loro divorzio, muta anche l’onere di mantenimento!

Nonostante si voglia raggiungere una cooperazione rafforzata tra Stati CE, appaiono ancora numerose, nell’ambito internazional-privatistico, ‘’le differenze’’ tra i Paesi membri, soprattutto per quanto concerne la prassi e quindi le applicazioni nei casi concreti.

Ma ci si chiede se si tratti solo di prassi o se entrino in gioco anche le differenze valoriali tra gli Stati.

In Italia… è forse più sentito il senso della famiglia, il senso della presenza domestica e dell’impegno ad educare i figli?

E in Germania… a prevalere è forse l’idea del lavoro come vera e propria responsabilità sociale?

Tiziano Solignani

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