Continuiamo oggi il nostro approfondimento, iniziato con lo scorso articolo, sulla audizione dei minori nei procedimenti giurisdizionali (ad esempio, nei giudizi di separazione e di divorzio).
”Chi è tenuto a svolgere l’ascolto dei minori? Come deve essere svolto il medesimo ascolto?”
La legge affida l’ascolto del minore, nel suo concreto esercizio (”quomodo”), alla ”discrezionalità” del giudice, nonostante resti ancora in vita il limite, di natura esclusivamente civilistica, relativo ”alla capacità di discernimento del minore che non abbia compiuto gli anni 12” (art. 155 sexies c.c.).
Nella prassi, però, si assiste, ad una discrezionalità ”slegata” del giudice: infatti, nelle operazioni processuali, parte della responsabilità viene affidata anche ad altri operatori formati. Proprio perché l’audizione può assumere, nelle sue dinamiche, contorni di particolare gravità risulta essenziale l’intervento di un esperto-ausiliario in scienze psico-pedagogiche.
Venendo più da vicino alla normativa interna, si evince che ‘’il come deve essere svolto l’ascolto’’ non possiede una puntuale disciplina tecnica; la legge fa unicamente cenno ‘’alle modalità adeguate, rispettose della sensibilità del minore e del principio della minima offensività, da applicare nelle operazioni processuali’’. Criticamente parlando, si evidenzia una disciplina sull’ascolto scarna con delle effettive lacune normative. Per superare tali lacune sono intervenuti taluni Tribunali ordinari, i quali continuano a ricercare criteri uniformi e linee-guida sull’audizione.
Questo lavoro giurisprudenziale ha portato all’elaborazione di veri e propri protocolli sull’ascolto mediante i quali vengano così fissati alcuni criteri interpretativi di base. L’intento è che detti criteri vengano rispettati in tutte le procedure di audizione. Recentemente, il ”Comitato scientifico del Tribunale di Varese” ha redatto un protocollo tecnico in materia. Quest’ultimo è costituito da sette disposizioni, che, punto per punto, esplicano le modalità tecniche dell’audizione.
Secondo il Protocollo, il giudice, prima dell’ascolto, è tenuto a delegare i servizi sociali territorialmente competenti, i quali, a loro volta, sono tenuti a redigere apposita relazione valutando scientificamente il caso di specie a loro presentato.
Per quanto concerne il ‘’luogo’’ dove svolgere l’ascolto del minore, il Protocollo prevede espressamente un’aula del Tribunale appositamente preparata, ove il contraddittorio è garantito.
Il Comitato scientifico del Tribunale di Varese, nella redazione del Protocollo, sancisce inoltre che i genitori, di regola, non devono assistere all’audizione, salvo che il giudice non lo ritenga opportuno.
Inoltre, durante l’audizione, i partecipanti devono astenersi dall’interloquire con il minore (difensori compresi).
“Sul piano temporale’’, il protocollo prevede l’audizione nelle ore pomeridiane, in condizioni di riservatezza, compatibilmente con le esigenze di vita del minore. Ma soprattutto, ove ritenuto opportuno, il giudice dispone, altresì, la presenza di un operatore del servizio dotato di specifiche competenze in materia di psicologia. L’Audizione, conclude il Protocollo, può essere, pertanto, ”diretta”, ”assistita”, ”indiretta o protetta” (…)”.
Insomma, si assiste ad ”un tassello di un mosaico” ben più ampio ed articolato, che coinvolge nella prassi parecchi operatori. L’ascolto da parte del giudice rappresenta una importante occasione in cui si realizza la tutela dei diritti della personalità del fanciullo, che così diventa ”soggetto interlocutore della vicenda processuale insieme a tutti gli altri soggetti interessati”.
Parallelamente, volgendo l’attenzione al processo penale, si evidenziano le tradizionali garanzie dell’imputato, che non possono essere certamente negate ad un soggetto solo perchè minorenne; ad esse si aggiungono le disposizioni dirette alla protezione della personalità e delle esigenze educative dei minori.
Il fenomeno dell’ascolto del minore appare indubbiamente complesso; pertanto, si impongono attenzioni particolari per diversi ordini di ragioni.
In tal senso, sorgono ulteriori riflessioni.
Eventuali protocolli trasversali su ‘’come’’ svolgere l’audizione sarebbero maggiormente efficaci? O meglio, la creazione di eguali protocolli in ambito civile e penale potrebbero dare origine ad una disciplina sull’ascolto più garantista e meno discrezionale?
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