L’Antitrust in materia di appalti pubblici, un ruolo da ridefinire

La normativa italiana sull’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha colto, in parte, l’importanza particolare che rappresenta la concorrenza nel campo dei contratti pubblici. L’art. 24 della legge 10 ottobre 1990, n.287 ha previsto un apposito rapporto dell’Autorità circa le azioni da varare per conformare ai principi della concorrenza la normativa relativa al settore degli appalti pubblici.

L’Antitrust, in base alla normativa vigente, offre alle imprese principalmente due antidoti per porre rimedio ai casi in cui la concorrenza sia  ostacolata o preclusa nelle procedure di appalto pubblico.
Il primo è nei confronti delle stazioni appaltanti, per conseguire l’obiettivo di produrre bandi idonei ad agevolare e a non impedire la concorrenza effettiva tra imprese.
Il secondo, invece, riguarda le imprese che, utilizzando il loro potere economico di mercato, definiscano accordi tra loro o pongano in essere pratiche concordate per stabilire congiuntamente delle offerte.

Ricordiamo che in base agli artt. 21 e 22 della legge 287/1990, l’Autorità in materia detiene un potere consultivo. Può, infatti, esprimere pareri o segnalare al Parlamento, al Governo, alle pubbliche amministrazioni atti normativi o provvedimenti amministrativi generali – o anche iniziative legislative o regolamentari – che determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato.

In considerazione di ciò l’Antitrust ha elencato un vero e proprio decalogo, in forma di raccomandazioni, rivolto alle amministrazioni, frutto di “analisi di numerosi bandi di gara”.

Più analiticamente, le raccomandazioni sono:

– Derogare al ricorso alla gara solo in casi eccezionali
– Mettere in atto procedure concorsuali anche se non si svolge una gara formale
– Non ricomprendere nello stesso oggetto contrattuale posta a gare più attività che da sole potrebbero costituire oggetto di appalto
– Non frazionare il progetto in singoli lotti al fine di evitare l’applicazione delle direttive comunitarie o delle disposizioni nazionali.
– Evitare le prescrizioni che abbiano per effetto quello di favorire alcuni operatori a scapito di altri, come la richiesta di prodotti o marchi particolari
– Non subordinare la partecipazione alle gare a un livello di fatturato sproporzionato rispetto all’ammontare delle prestazioni in gara.

L’Autorità, ancora, ha segnalato che il raggruppamento temporaneo d’impresa (“RTI”) è generalmente compatibile con le disposizioni della legge antitrust nel limiti in cui consente a imprese che operano in fasi differenziate di una stessa filiera di poter presentare la propria offerta a fare a cui singolarmente non potrebbero partecipare.

In tutti questi casi, elencati succintamente, è chiaro che le imprese possono indicare le ipotesi in cui norme di legge o di regolamento, o bandi determinano distorsioni patologiche della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato non giustificate quantomeno da un interesse generale.

L’Antitrust, inoltre, può redigere pareri nei casi di richiesta, da parte di enti locali, di deroga alla gara per l’affidamento di servizi pubblici locali “per situazioni che a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato” (art. 23-bis d.-l. 122/2008). In tal caso, le imprese interessate allo strumento della gara possono interagire con il procedimento di formazione del parere, comunicando le ragioni che renderebbero la deroga alla gara oggettivamente illegittima.

Considerati gli angusti contorni normativi entro i quali l’Autorità deve delimitare il suo raggio d’azione, è stato evidenziato, da più parti, l’esigenza di un rafforzamento dei suoi poteri, soprattutto per quello che riguarda l’intervento in relazione alle misure anti-concorrenziali previste nei bandi. Le azioni esperibili dall’Antitrust, come si è visto, è al momento possono essere soltanto di tipo consultivo. Infatti essa può emanare raccomandazioni di ordine persuasivo ma sicuramente non cogente. Diversamente avverrebbe, nel caso in cui si passasse a misure più stringenti nei confronti delle Stazioni appaltanti.

La giustificazione di un rafforzamento dei poteri di tale portata sta nel fatto che il bando è effettivamente l’atto che condiziona maggiormente la concorrenza , e dunque risulta corretto porlo sotto il controllo penetrante dell’Autorità. Pertanto, occorre prevedere nella legge sulla concorrenza un potere in capo a quest’ultima, in modo tale da “costringere” la stazione appaltante a far venire meno gli elementi del bando considerati discorsivi della concorrenza, prevedendo la possibilità di un contraddittorio tra le parti e di un termine circoscritto per impugnare.

Rispetto alle attuali procedure previste davanti l’Authority appalti, il potere in discorso si riferirebbe esclusivamente ai contenuti dei bandi, in relazione al principio e alle regole di concorrenza, ciò che permetterebbe all’Antitrust di dare effettività alla propria funzione di soggetto garante della concorrenza anche in tema di appalti pubblici.

Ignazio Lo Monaco

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