“La sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto”
Questo, in breve, il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1640 del 22 marzo 2012, in ordine ad una controversia avente ad oggetto la costruzione di un impianto di termovalorizzazione del combustibile derivato da rifiuti (CDR) per la produzione di energia elettrica.
Giova a questo punto soffermarsi, sia pur sinteticamente, sulla natura della procedura di Valutazione d’impatto ambientale (VIA) salvo poi destinare una specifica attenzione al tipo di sindacato esercitabile dal giudice amministrativo, e sulle relative conseguenze in ordine ai limiti dei suoi poteri.
La valutazione d’impatto ambientale, in quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente, rappresenta lo strumento attraverso cui l’Amministrazione verifica la compatibilità degli interventi di trasformazione del territorio con i valori paesaggistici.
Non stupisce, dunque, il principio più volte affermato dalla giurisprudenza secondo cui in sede di V.I.A, l’Amministrazione gode di un ampio potere discrezionale sia in ordine alle scelte effettuabili sia in ordine alla valutazione dei vari interessi coinvolti. (sv. da ultimo, Cons. St., sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561; e Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367).
E’ stato, peraltro, più volte precisato che la valutazione d’impatto ambientale non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti.
Tale potere assolutamente discrezionale fa sì, poi, che le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti degradano a interesse legittimo.
Sulla scorta di quanto detto il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento ha, quindi, ritenuto che:
“ a) la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità..; b) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure; c) conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:.. deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti; non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa..”( cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1640 del 22 marzo 2012).
La sentenza, ovviamente, si presta a varie censure non fosse altro che per l’eccessivo spazio di manovra rimesso all’Amministrazione oltre che per l’errata interpretazione della teoria della separazione dei poteri.
In estrema sintesi, basti osservare che se per un verso è vero che il merito in quanto scelta rimessa esclusivamente all’Amministrazione risulta assolutamente insindacabile, non potendo l’autorità giudiziaria valutare l’opportunità della scelta, dall’altro, nondimeno, ciò non esclude che la scelta effettuata sia sempre una scelta predeterminata dalla legge e quindi sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere.
In altri termini, quindi, se è pur vero che il merito coincide con la scelta assolutamente discrezionale dell’Amministrazione in ordine alla cura di un determinato interesse pubblico, dall’altro non può escludersi che tale scelta sia pur sempre sindacabile sotto il profilo del travisamento, o sviamento dei presupposti.
In questa prospettiva, pertanto, l’opportunità rappresenta sì una scelta discrezionale ma pur sempre vincolata e apprezzabile in relazione ai fini prefissati dalla legge.
Vi sarà, dunque, eccesso di potere tutte le volte in cui l’Amministrazione pur esercitando un proprio potere attribuito ecceda, tuttavia, nel perseguimento dell’interesse pubblico ovvero agisca in vista di una finalità diversa da quella tipica.
Venendo ora al caso in questione, appare evidente che la pronuncia in questione muta rispetto al passato il concetto di sindacabilità del provvedimento; più in particolare la pronuncia in oggetto ha l’indubbio demerito di estende l’area del merito rimesso all’Amministrazione fino a rendere insindacabili scelte che ben potrebbero essere sindacate sotto il profilo della ragionevolezza e razionalità, ovvero sotto il profilo della congruenza e logicità.
Per assurdo, dunque, se venisse confermato il ragionamento seguito dalla sentenza in commento ben potrebbe l’Amministrazione allocare una centrale di termovalorizzazione, ovvero una discarica, ovunque anche in prossimità di un centro abitato, storico, ovvero d’interesse paesaggistico.
Un cenno a parte merita il richiamo fatto dalla sentenza in commento alla teoria della divisione dei poteri.
Senza dilungarsi sull’argomento, basti osservare che anche ad ammettere che l‘attuale forma di Stato sia retta dalla divisione dei tre principali poteri (ovvero quello legislativo, esecutivo e giudiziario) ciò, nondimeno, non esclude che ognuno dei detti poteri sia comunque sottoposto ad un controllo giurisdizionale.
Detto altrimenti, il principio della separazione dei poteri non è violato dalla possibilità del giudice di valutare in concreto l’esercizio del potere, ovvero il suo cattivo esercizio ma, eventualmente, soltanto qualora lo stesso sostituisca la propria valutazione di opportunità a quella effettuata dall’Amministrazione.
Pertanto, se è assolutamente precluso al giudice amministrativo decidere sulle scelte d’opportunità effettuate dall’Amministrazione ( ad es. se costruire o meno un impianto di termovalorizzazione del combustibile derivato da rifiuti), dall’altro ciò non esclude che, una volta effettuata la scelta, la stessa sia sindacabile sotto il profilo della ragionevolezza e della congruità (ad es. è ragionevole e congruo rispetto ai fini che l’impianto sia costruito in prossimità di centri storici, o di interesse turistico ovvero paesaggistico? ).
In conclusione, quindi, anche ad ammettere che solo l’Amministrazione sia deputata a valutare l’interesse pubblico ciò non esclude che la stessa, in un regime sostanzialmente parlamentare, sia comunque sottoposta al sindacato giurisdizionale qualora sia ravvisabile, in concreto, una violazione di legge ovvero un eccesso rispetto ai fini prefissati.
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