La soppressione delle Province è incostituzionale. Ecco perché

Pietro Ciarlo 14/09/12
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L’art. 17 del Decreto-Legge 6 luglio 2012, n. 95, come convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 35, introduce una disciplina, complessa e variamente articolata, volta al riordino delle Province in tutto il territorio nazionale cui le Regioni, anche quelle a statuto speciale, sono tenute a uniformarsi in quanto contenente principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

In un parere reso all’UPI in data 31 agosto 2012, il Prof. Valerio Onida ha sostenuto la non illegittimità costituzionale della disciplina sopra citata in base alle seguenti principali argomentazioni:

a) la procedura disegnata non sarebbe in contrasto con l’art. 133 Cost., in quanto la norma costituzionale riguarderebbe solo le ipotesi in cui, a circoscrizioni provinciali stabilite, uno o più Comuni intendano passare da una Provincia ad altra limitrofa ovvero promuovere la istituzione di una nuova Provincia, mentre l’art. 17 del D.L. n. 95/2012 introduce un disegno generale di riordino che non potrebbe essere condizionato ad iniziative dei Comuni;

b) i Comuni medesimi sarebbero comunque adeguatamente rappresentati dal Consiglio delle autonomie locali, cui è affidato il compito di formulare l’ipotesi di riordino;

c) i requisiti minimi per il mantenimento della Provincia, concretamente individuati dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, costituirebbero corretta attuazione del disposto dell’art. 17, comma 2, del D.L. n. 95/2012. Tale deliberazione, pur introducendo vincoli rigidi, astrattamente suscettibili di trovarsi in contrasto con indicatori “qualitativi” di omogeneità territoriale e sociale, sarebbe comunque esente da vizi di costituzionalità, trattandosi di definire circoscrizioni di enti “di area vasta” e, in ogni caso, l’atto legislativo conclusivo della procedura potrebbe discostarsi dai suddetti requisiti minimi, operando eventuali aggiustamenti su richiesta esplicita e motivata dei Comuni interessati.

Rispetto a tali prospettazioni riteniamo di esprimere un nostro diverso avviso.

L’art. 133 Cost. dispone: “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”. Come meglio si vedrà tra poco, secondo giurisprudenza costante della Corte costituzionale tale iniziativa può estrinsecarsi in due soli modi: deliberazione dei consigli comunali o referendum delle popolazioni residenti nei Comuni. Ma essa, secondo tale giurisprudenza, non può essere in nessun modo esclusa e deve riguardare i Comuni direttamente interessati al mutamento delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di nuove Province.

Né vale più di tanto cavillare sul significato della parola “riordino” utilizzata dall’art. 17, comma 3, del D.L. n. 95/2012. Infatti, anche se si volesse paradossalmente affermare, cosa già in se stessa improponibile, che da tale riordino, in nome del principio di continuità istituzionale, non sortiscono delle Province nuove, non si può comunque negare che, in seguito alle procedure previste, si arrivi a dei mutamenti delle circoscrizioni provinciali che a norma dell’ art. 133 Cost. richiedono, appunto, l’iniziativa dei Comuni interessati. Non sembra dunque condivisibile circoscrivere il campo di efficacia della disposizione costituzionale, ritenendo che essa riguardi solo ipotesi di carattere specifico, posto che una tale limitazione non è in alcun modo prevista dall’art. 133 Cost. che, al contrario, pone una regola generale, suscettibile di applicarsi a tutti i casi di “mutamento delle circoscrizioni provinciali”. L’interpretazione riduttiva, sostenuta dal prof. Onida, è quindi non condivisibile, perché in diretto contrasto con la lettera della disposizione costituzionale e con il canone ermeneutico fondamentale in forza del quale in claris non fit interpretatio: pretese esigenze generali possono, certamente, indurre l’interprete a sottolineare le eventuali difficoltà pratiche, ma non legittimano interpretazioni svalutative dell’enunciato costituzionale, del quale – al più – potrà esclusivamente caldeggiarsi la revisione.

La regola di cui all’art. 133 Cost. non può nemmeno ritenersi ottemperata dal fatto che l’art. 17, comma 2, del D.L. n. 95/2012 prevede che i Consigli delle autonomie locali approvino una “ipotesi di riordino”. Innanzitutto, un’ipotesi di riordino non è una “iniziativa”, in quanto da un punto di vista tecnico giuridico non si qualifica come un atto d’impulso di un procedimento o di una fase procedimentale. In secondo luogo l’art. 17 rimette la formulazione della proposta di riordino da inviare al Governo non già ai Consigli delle autonomie locali, ma alla Regione. Va inoltre sottolineato che il Consiglio delle autonomie locali è un organismo rappresentativo di tutti gli enti locali presenti in una Regione e quindi di norma include oltre i rappresentanti dei Comuni anche altri soggetti, come i presidenti delle Province. Dunque, i deliberati dei Consigli delle autonomie non possono essere ricondotti ai soli Comuni, né, tanto meno, ai Comuni direttamente interessati ai mutamenti delle circoscrizioni provinciali.

Qui il parere in versione integrale

 

Pietro Ciarlo

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