Il ritorno alla tesoreria unica previsto dall’art. 35 del Decreto Liberalizzazioni sta suscitando una vera e propria rivolta delle Autonomie Locali.
Sono stati numerosi gli emendamenti presentati al testo dell’art. 35, ma non sono stati accolti.
E’ stato concordato in Commissione Industria del Senato il testo di un ordine del giorno, con il parere favorevole del Governo, per ridurre al “minimo indispensabile” il tempo di efficacia delle norme sulla tesoreria unica, che però al momento non vengono modificate.
In commissione si era provato almeno a risolvere il problema della differenza fra gli interessi all’1% garantiti dalla tesoreria statale e quelli, anche di molti o superiori, previsti dalle convenzioni di tesoreria in essere; ma il nodo non è stato risolto per mancanza di copertura finanziaria.
Nel testo del maxiemendamento, proposto dal Governo unitamente alla questione di fiducia, e approvato dal Senato il 1° marzo con 237 voti favorevoli, 33 contrari e 2 astenuti, le modifiche introdotte sono di rilevanza poco significativa.
I termini per il trasferimento delle somme alla tesoreria statale da parte dei tesorieri degli Enti territoriali, fissate per il 29 febbraio e il 16 aprile assumono una rilevanza “meno perentoria”: non più “entro il 29 febbraio” (come era previsto nel testo originario) ma “alla data del 29 febbraio”; analogamente per il termine del 16 aprile.
Tuttavia appare come una modifica più di forma che di sostanza, che sembra fissare una data – il 29 febbraio e il 16 aprile – e non più un termine massimo come faceva intendere l’espressione “entro il”.
Sembra invece risolvere una problematica posta dai tesorieri degli Enti, la riformulazione del comma 10 dell’art. 35 secondo cui, nel nuovo testo, “I tesorieri e i cassieri degli enti pubblici provvedono ad adeguare la propria operatività alle disposizioni della tesoreria unica il giorno successivo a quello del versamento della residua quota della disponibilità (…)”.
Si chiariscono in questo modo i dubbi posti sulle modalità di gestione da adottare nel periodo tra il 29 febbraio ed il 16 aprile.
E’ chiaro che tali modifiche non soddisfano le Regioni e le Autonomie Locali.
La Conferenza delle Regioni ha espresso formalmente il proprio disaccordo al ritorno alla Tesoreria Unica e ha chiesto di cambiare questa scelta.
Ogni Regione peraltro sta adottando anche iniziative diverse.
L’UPI – l’Unione delle Province Italiane – ha richiesto la cancellazione della norma sulla tesoreria unica, perché è incostituzionale e lede l’autonomia di Regioni, Province e Comuni. Si tratta di una norma politicamente e giuridicamente errata che può avere effetti devastanti non solo sulle amministrazioni locali, ma su tutti i sistemi economici dei territori. Con il ritorno alla Tesoreria Unica non solo si commissariano di fatto Regioni, Province e Comuni, ma si rallentano i flussi finanziari e si bloccano le economie alimentate sui territori dalle Autonomie locali.
L’Anci – l’Associazione dei Comuni Italiani – ha messo a disposizione dei Comuni, al fine di tutelare l’autonomia nella gestione finanziaria delle proprie risorse, uno schema di delibera già adottata dal Comune di Venezia per intraprendere un’azione legale nei confronti del Governo, contro la norma ed un atto di diffida nei confronti delle banche titolari del servizio di tesoreria, con cui si intima a non procedere ad alcun versamento in favore della tesoreria statale, in attesa degli esiti delle azioni giudiziarie avviate dai Comuni, della conversione del decreto legge e, comunque, in difetto di espressa autorizzazione da parte del Comune, con l’avviso che, in caso di mancato rispetto della diffida, l’istituto di credito sarà ritenuto direttamente responsabile dei danni sopportati dal Comune, ai sensi dell’art. 211 TUEL.
Molti Istituti di credito, titolari del servizio di tesoreria, hanno però ritenuto di ignorare le diffide degli Enti ed hanno dato attuazione all’art. 35, comma 9, del D. L. 1/2012, trasferendo alla tesoreria statale il 50% delle disponibilità giacenti alla data del 29 febbraio.
Malgrado le proteste, come abbiamo visto non si è dunque giunti ad un ripensamento del Governo.
Si discute soltanto di un possibile intervento normativo nell’ambito del decreto fiscale, ma tutto è ancora in discussione.
In molti auspicano possibili ulteriori modifiche durante l’esame della legge di conversione del decreto alla Camera dei Deputati, anche se il tempo a disposizione è molto limitato, posto che il decreto deve essere convertito definitivamente entro il 24 marzo e che, in caso di modifiche introdotte dalla Camera, dovrà tornare al Senato per essere approvato in terza lettura.
In vista della scadenza del 29 febbraio, intanto, numerose Amministrazioni hanno assunto diverse iniziative autonome.
La Regione Veneto ha intimato al proprio tesoriere di non trasferire le somme oltre a ricorrere alla Corte Costituzionale.
Ma, come in altri casi, il tesoriere della Regione ha ritenuto di dover comunque applicare la norma e trasferire le somme tanto da indurre il Governo Regionale ad annunciare azioni legali verso l’istituto di credito.
La Provincia di Treviso, preso atto che l’art. 35 del decreto liberalizzazioni sulla tesoreria unica prevede che sono esclusi dalla smobilizzazione, per il successivo riversamento alla tesoreria statale, gli eventuali investimenti finanziari in titoli di Stato italiani, confermando così implicitamente la possibilità per gli enti locali di effettuare investimenti finanziari in titoli di Stato italiani, addirittura salvaguardandoli dallo smobilizzo, ha deliberato di investire la liquidità disponibile in titoli di Stato, così assicurandosi un rendimento significativamente superiore a quello garantito dal deposito delle somme presso il conto della Banca d’Italia oltre che impedendo di fatto il trasferimento coattivo delle stesse somme alla tesoreria statale.
L’evoluzione della normativa sulla tesoreria unica
Per capire meglio di cosa si tratta, è bene ricostruire l’evoluzione della normativa.
Il regime di Tesoreria unica è stato introdotto dalla legge 720/1984.
Le disposizioni della Legge 720/1984 prevedevano che tutte le entrate degli enti locali venissero versate in due conti specifici, tenuti presso la Banca d’Italia:
1) Nel primo, infruttifero, andavano depositate tutte le entrate provenienti direttamente o indirettamente dallo Stato;
2) Nel secondo, fruttifero, andavano depositate tutte le altre entrate proprie degli enti.
Il tesoriere di ciascun ente, al momento di effettuare un pagamento, doveva prelevare prioritariamente le somme necessarie dal conto fruttifero presso la Banca d’Italia.
Va rilevato che negli anni ‘80 i trasferimenti derivanti dallo Stato rappresentavano la larga maggioranza rispetto al totale delle entrate di cui gli enti locali potevano usufruire.
Con le disposizioni sulla tesoreria unica prima indicate, evidentemente, dovendo al momento del pagamento utilizzare prioritariamente le disponibilità esistenti sul conto fruttifero della Banca d’Italia, gli enti, di fatto, non disponevano di liquidità su cui potere percepire interessi.
Infatti, la loro liquidità era quasi sempre solo sul conto infruttifero.
Il tesoriere di ciascun ente curava soltanto pagamenti e riscossioni, eventualmente attivava l’anticipazione di cassa, nel caso di indisponibilità presso i conti presso la Banca d’Italia, senza potere gestire, però, la liquidità dell’ente.
Il D. Lgs. 279/1997 ha introdotto significative modifiche, introducendo un sistema di Tesoreria cosiddetta “mista”.
Il nuovo sistema di tesoreria mista prevede per gli enti locali che:
1) le entrate costituite dalle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente, direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato, vanno versate nelle contabilità speciali infruttifere ad essi intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato gestite dalla Banca d’Italia.
2) Tutte le altre entrate, non devono più confluire nei conti fruttiferi intestati all’ente, presso la tesoreria provinciale dello Stato, ma possono rimanere presso i tesorieri dei singoli enti.
3) Le disponibilità che non derivano dallo Stato, cioè le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, vanno prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti.
Il D. Lgs 279/1997, prevedeva che le novità descritte, entrassero in vigore, in via sperimentale, dal 1° gennaio 1999 solo per i Comuni con meno di 10.000 abitanti e per le province.
Le norme che avevano previsto l’introduzione del sistema Siope, avevano, poi, introdotto una deroga al sistema di Tesoreria unica, stabilendo che gli enti che partecipavano alla sperimentazione (circa cinquanta enti locali), avrebbero continuato a ricevere i trasferimenti statali sulle contabilità speciali di presso la Banca d’Italia, con riversamento il giorno successivo presso il tesoriere dell’ente.
Quindi per questi era stato previsto un regime particolarmente vantaggioso.
L’articolo 77quater, della legge 133/2008 (legge di conversione del D. L. 112/2008), ritenendo concluso il periodo di sperimentazione avviato con il D. Lgs 279/1997 ha, infine, esteso il sistema di Tesoreria mista a tutti gli enti locali, cioè anche a tutti i Comuni con più di 10.000 abitanti.
I vantaggi per gli enti locali del regime di tesoreria “mista”
Il regime di tesoreria “mista” riconosce a tutti gli enti locali una maggiore autonomia nel gestire le proprie risorse finanziarie, autonomia dalla quale, se gestita in modo oculato e professionale, può derivare anche un incremento delle entrate.
Il D. Lgs. 279/1997 ha consentito infatti di gestire fuori dalla tesoreria dello Stato, tutte le cosiddette entrate proprie.
Questa innovazione, oltre a rendere gli enti più autonomi, ha consentito anche agli enti di realizzare, su quelle disponibilità, interessi attivi più elevati di quelli riconosciuti dalla Banca d’Italia sulle giacenze depositate in contabilità fruttifera.
Ovviamente, in questi casi la consistenza degli interessi attivi è determinata dai singoli contratti di tesoreria.
Inoltre, il sistema di tesoreria “mista”, ha consentito anche agli enti che disponessero di liquidità esuberanti rispetto alle proprie necessità, di investire in forme più convenienti (pronti conto termini, Buoni ordinari del tesoro, o altro) parte di questa liquidità realizzando una redditività superiore anche a quella prevista dalla contabilità fruttifera presso la tesoreria provinciale dello Stato o dal contratto con il proprio tesoriere.
Il superamento del sistema di tesoreria unica ha comportato quindi dei vantaggi concreti e portato gli enti locali nelle condizioni di poter sfruttare tutte le opportunità che possano rendere la loro attività più funzionale.
Tali vantaggi sono così riassumibili:
a) Una maggiore capacità di programmazione delle proprie risorse dettata da un maggior controllo delle risorse liquide disponibili;
b) La possibilità di comprendere pienamente l’esigenza di attuare una politica di monitoraggio e controllo delle risorse;
c) La possibilità di ottenere maggiori rendimenti dal riversamento delle somme disponibili nella parte fruttifera del conto di tesoreria;
d) Avere una nuova opportunità di autofinanziamento.
Il ritorno all’antico con il decreto legge 1/2012
L’art. 35 del decreto legge sulle liberalizzazioni sospende fino al 31 dicembre 2014 l’attuale normativa relativa alla gestione della tesoreria e ripristina le disposizioni di cui all’art. 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 e alle relative norme amministrative di attuazione, relative alla tesoreria unica con obbligo di deposito delle disponibilità sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.
Pertanto alla data del 29 febbraio 2012 il tesoriere di ciascun Ente dovrà provvedere a versare il 50 per cento delle disponibilità liquide esigibili depositate presso il sistema bancario sulla contabilità speciale aperta presso la tesoreria statale.
Il versamento della quota rimanente deve essere effettuato alla data del 16 aprile 2012.
Si dovrà altresì procedere alla smobilizzazione degli eventuali investimenti finanziari che verranno dettagliati con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, ad eccezione di quelli in titoli di Stato italiani, entro il 30 giugno 2012 e le relative risorse versate sulle contabilità speciali aperte presso la tesoreria statale.
Valutazioni critiche
Con il ritorno al vecchio sistema di tesoreria unica gli Enti Locali non avranno più disponibilità diretta delle proprie risorse depositate presso il sistema bancario.
Il tesoriere di ciascun ente potrà e dovrà soltanto curare pagamenti e riscossioni, senza potere gestire, però, la liquidità dell’ente, secondo le disposizioni e le decisioni di quest’ultimo.
Si tratta di una grave limitazione dell’autonomia delle Regioni e degli Enti Locali così privati di un importante strumento di gestione finanziaria che è risultata ampiamente vantaggiosa per le casse pubbliche, quasi di un vero e proprio “commissariamento” degli Enti in spregio al principio di autonomia finanziaria sancito dall’art. 119 della Costituzione (“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria…”)
La Relazione Tecnica al decreto liberalizzazioni stima “un afflusso presso la tesoreria statale di almeno 8.600 milioni di euro, calcolati come media delle risorse detenute a fine mese presso il sistema bancario nel periodo gennaio-novembre 2011 da parte di Regioni, Province, Comuni , Comunità Montane, Unione di Comuni, Enti del comparto sanitario, Università”.
Le stime diffuse negli ultimi giorni dai maggiori istituti di credito, titolari dei servizi di tesoreria, fanno pensare a cifre di molto superiori, prossime ai 30 miliardi.
Gli Enti territoriali vengono così privati di una notevole liquidità con ripercussioni immediate soprattutto a danno degli Enti più virtuosi che vedranno mancare un’ulteriore entrata derivante dai minori interessi attivi che tali somme, depositate presso il sistema bancario, riuscivano a produrre grazie ai tassi vantaggiosi che si sono riusciti spesso ad ottenere a seguito di oculate procedure di gara per l’affidamento del servizio di tesoreria, spesso di gran lunga superiori al tasso dell’1% previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d’Italia per ciascun Ente,
Gli Enti probabilmente si troveranno altresì a dover rinegoziare i contratti di tesoreria nei quali la disponibilità di liquidità è uno degli elementi centrali, da cui derivano i vantaggi ulteriori e i benefici offerti agli Enti o ai cittadini.
Purtroppo, in nome dell’emergenza, gli interventi legislativi più recenti stanno conducendo ad una compressione costante ed inaccettabile dell’autonomia degli Enti costitutivi della Repubblica, con un ritorno al centralismo che ha determinato tutti i guasti alle finanze pubbliche che oggi siamo chiamati a tamponare.
Si avverte, in tali scelte, una sostanziale sfiducia del Governo nelle capacità e nella responsabilità della classe politica locale.
Uno dei timori e dei rischi che da sempre caratterizzano il nostro sistema delle autonomie, e che si sta adesso realizzando, è quello di un nuovo centralismo.
Il processo di attuazione del federalismo fiscale avrebbe dovuto imporre una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità.
Si potrebbe obiettare che in un momento di crisi globale non sia il momento del federalismo; in realtà è proprio in questa situazione che non è possibile continuare a giustificare un assetto istituzionale che favorisce la rendita e la deresponsabilizzazione.
Ma non è accentrando a livello statale la gestione che si rimedia alla situazione attuale; l’esperienza dovrebbe ampiamente dimostrarlo.
L’avvio del federalismo costituisce al contrario una riforma indilazionabile in base al principio di responsabilità.
Con regole certe, con responsabilità chiare, con le correlative sanzioni, ma senza commissariamenti, espliciti o indiretti, di alcun genere.
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