Ciò detto, devo anche premettere, per onestà, di essere da sempre favorevole alle liberalizzazioni, nonostante quanto sopra, a differenza della maggioranza dei colleghi, ancora affezionati ad istituti quali l’obbligatorietà delle tariffe minime e il divieto dei compensi in percentuale.
Ritengo che l’impianto tradizionale della nostra professione forense sia da riformare in profondità e che occorra un nuovo «patto sociale» tra utenti ed avvocati basato sulla massima chiarezza, riconoscimento e rispetto dei reciproci ruoli e più comunicazione possibile tra le parti. Questa è, naturalmente, solo la mia opinione, ma è giusto che il lettore conosca la prospettiva delle osservazioni che seguono, quella di colui che avrebbe sperato di vedere «vere» liberalizzazioni e non, come vedremo, una minestra riscaldata con addirittura nuovi oneri per la categoria.
Andiamo, ora, a leggere insieme le nuove disposizioni, che, si rammenta, sono già in vigore, salvo naturalmente future modifiche da parte delle Camere o addirittura la, al momento improbabile, intera decadenza del decreto.
Il meccanismo utilizzato dal provvedimento è quello della previsione di alcuni principi cui dovranno uniformarsi gli ordinamenti professionali entro un anno. Occorrerà quindi, per la vera entrata a regime di questa riforma, la riscrittura delle relative norme delle singole leggi professionali. Naturalmente, i principi dettati dal decreto avranno una loro efficacia anche nelle more: di linee guida interpretative delle disposizioni vigenti e, probabilmente, almeno a mio giudizio, anche dei codici deontologici.
Un primo principio è il seguente:
b) previsione dell’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell’obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale e’ sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovra’ integrare tale previsione;
In questo modo, dovrebbe dunque «salire» al grado legislativo una regola in precedenza spesso riposante su regolamenti di settore. Le perplessità, al riguardo, sono molteplici. Innanzitutto non si capisce cosa abbia a che fare ciò con la liberalizzazione dei servizi, che significa, se la lingua italiana ha ancora un senso, deregulation e non introduzione di norme nuove. Nel caso specifico degli avvocati, poi, l’esperienza dei primi anni di formazione permanente ha evidenziato come lo strumento non sia idoneo a colmare le gravi lacune di preparazione della categoria, risolvendosi spesso nel proporre approfondimenti a professionisti che non sono in grado di leggere correttamente il codice civile. Se si vuole riconoscere, come a mio giudizio si dovrebbe, che c’è un non trascurabile problema di preparazione in molti professionisti, non solo avvocato, credo che si dovrebbe pensare all’Università, al praticantato e all’esame di abilitazione, non a questi corsi estemporanei che, per il momento, sono serviti più che altro a creare un nuovo piccolo business, quello della formazione.
Un altro aspetto riguarda il praticantato:
Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto
Si tratta dell’introduzione di una regola su cui in passato si era discusso molto, quella dell’obbligo di retribuire i praticanti. Qui, naturalmente, le opinioni possono essere le più diverse; personalmente ritengo che se il dominus fa svolgere una pratica effettiva e concreta al tirocinante, non utilizzandolo solo per fare le fotocopie ma trasmettendogli dei veri insegnamenti, tali da metterlo in grado di diventare potenzialmente un professionista esso stesso, il dominus non dovrebbe pagar nulla, ma semmai dovrebbe essere il contrario. In questo modo, noi avvocati titolari di studio infatti ci troveremo nella paradossale situazione di dover pagare per la formazione, peraltro raramente davvero utile, che riceviamo, e pagare ulteriormente per quella, che se siamo corretti, onesti e sinceri sarà di prima qualità ed utilissima, che forniamo ai nostri tirocinanti. Per non dire del rischio che, in questo modo, i tirocinanti, visto che devono essere pagati, finiscano davvero a fare solo le fotocopie, una delle poche cose per le quali oggettivamente un praticante può essere utile almeno nei primi sei mesi di pratica, considerando che l’Università non fornisce alcuna preparazione idonea allo svolgimento della professione. Nel mio studio, ad esempio, ci sono due figure amministrative regolarmente retribuite, che fanno il lavoro di tipo appunto amministrativo, mentre i praticanti non ricevono un fisso, ma partecipano alle udienze, agli appuntamenti, allo studio delle questioni, alle telefonate, alla scrittura degli atti e hanno così occasione di vedere veramente come funziona il nostro lavoro. Se, in futuro, dovrò corrispondere un compenso fisso ai tirocinanti, non so se potrò permettermi di retribuire ancora il personale amministrativo: a questo punto le mie scelte potranno essere o di far fare i compiti amministrativi ai tirocinanti, visto che li pago, oppure di tenere il personale e non prendere più tirocinanti, che credo sia la soluzione che adotteranno tutti. Ed ecco trovato un buon sistema per introdurre surrettiziamente, e forse anche inconsapevolmente, una specie di «numero chiuso».
Andiamo avanti:
il compenso spettante al professionista e’ pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. E’ ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente e’ un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale e’ resa nell’interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia;
A me pare che qui non ci sia molto di nuovo, semmai, come vedremo tra poco, si possono fare interessanti considerazioni sul funzionamento e sulla natura del nostro sistema politico e istituzionale, ma, dal lato tecnico, non mi pare ci sia innovazione rispetto a quanto già introdotto con le riforme Bersani. Sin dalle liberalizzazioni introdotte nel 2006, che hanno abrogato l’obbligatorietà delle tariffe minime, nel nostro studio si è sempre proceduto a firmare un contratto utente – avvocato, al momento del conferimento dell’incarico, dal momento che, venute meno le tariffe minime, era l’unico modo per evitare possibili contestazioni al riguardo. Il contratto, naturalmente, prevede volta per volta l’applicazione delle tariffe professionali oppure un regime alternativo, come ad esempio a forfait o di tipo «flat» per l’incarico.
Per quanto riguarda il nostro sistema politico ed istituzionale, non si può non ricordare quanto segue.
-> Al momento del varo delle liberalizzazioni da parte del ministro Bersani del governo Prodi, la maggioranza che è adesso al governo e che ha confezionato la riforma che stiamo esaminando fece una fortissima opposizione, sostenendo che erano riforme inammissibili, che andavano contro l’interesse sia degli avvocati che dei cittadini, accattivandosi il consenso di molti colleghi. Ora, a qualche anno di distanza, hanno varato un gruppo di disposizioni che rappresenta sostanzialmente la riedizione, peraltro con scarsa qualità di tecnica normativa, di quelle stesse riforme contro cui tanto avevano a suo tempo tuonato. Il cittadino, qui, vorrebbe allora capire chi è che comanda davvero e se ha ancora un senso muoversi per andare a votare a favore di un governo di sinistra o di destra.
-> Come è stato giustamente evidenziato nella nostra Legalit, non è affatto corretto anticipare i contenuti della riforma dell’ordinamento professionale in discussione da tempo alle Camere, stroncandola e superandola brutalmente con un decreto legge. Si noti che, peraltro, su alcuni temi molto importanti i contenuti del decreto legge sono improntati a scelte opposte a quelle già approvate dal Parlamento, come ad esempio nel caso dei minimi di tariffa inderogabili, che la riforma avrebbe voluto ripristinare, mentre il decreto dichiara derogabili… La mia impressione, e quella di molti altri colleghi, è che con questa riforma in tranquilla discussione alle Camere il governo abbia illuso il ceto forense, o almeno quella parte, maggioritaria (cui, come anticipato, non appartengo), che vorrebbe il ritorno delle tariffe minime, per poi andare in direzione opposta.
Ma chiudiamo questa parentesi e andiamo avanti. Al momento dell’accettazione del mandato, poi:
Il professionista e’ tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico
È un principio giusto, sulla carta, tanto che probabilmente derivava già prima dall’obbligo di comportarsi secondo buona fede gravante sulle parti di un contratto e da molte disposizioni, poste esattamente in questo senso, di codici deontologici professionali. Nel caso forense, onorare quest’obbligo non è affatto facile, in un contesto dove è successo ad esempio che la Cassazione, il giudice che dovrebbe insegnare a tutti gli altri come si interpreta il diritto, incaricata per errore della cancelleria due volte di un unico caso lo ha deciso in modo opposto, o dove una causa in primo grado può durare anche 30 o 40 anni. Sia sufficiente, poi pensare, all’esistenza di più gradi di giudizio: come si fa a quantificare gli oneri dell’iniziare una causa che può in primo grado potenzialmente durare 30 anni e condurre ad una sentenza che può essere impugnata ulteriormente per due volte? Probabilmente, questo obbligo informativo per molti casi non potrà ridursi che a richiamare queste stesse considerazioni, sicuramente meglio di niente per l’utente, anche se globalmente poco utili. Piuttosto, io credo che il professionista forense dovrebbe rilasciare, preferibilmente per iscritto, all’utente un breve parere, qualche osservazione, su come vede il suo caso e le iniziative che si potrebbero adottare. La legge non impone l’uso della forma scritta, ma da un lato ciò è facilitato dall’utilizzo sempre più diffuso della posta elettronica, dall’altro se non sappiamo noi che un conto è un fatto accaduto e un altro un fatto che si può provare… Ad ogni modo, anche questo è un nuovo onere, sempre alla faccia dell’intento di «liberalizzare».
Un altro obbligo: l’assicurazione di responsabilità professionale:
a tutela del cliente, il professionista e’ tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale.
E via con le liberalizzazioni… Lo trovo giusto, comunque. Non credo che si possa seriamente pensare di fare la professione, oggigiorno, senza una adeguata copertura assicurativa e comunque la regola per cui se il legale sbaglia l’utente deve essere risarcito è sacrosanta, così come avviene per qualsiasi servizio o trattamento. Ai colleghi consiglio di accertarsi che la copertura comprenda anche gli eventuali errori dei tirocinanti che, pur se titolati a prendere un compenso per il loro lavoro, sicuramente non saranno ritenuti onerati dall’obbligo di risarcire il danno che possano aver cagionato con i propri errori. Per quanto riguarda l’obbligo di informativa, va ricordato che il codice deontologico forense prevede che il legale che abbia un proprio sito web indichi obbligatoriamente nello stesso la propria compagnia di responsabilità civile, naturalmente generalizzando l’obbligo lo si rende efficace anche per chi non ha una presenza su web e l’informazione è più comoda e fruibile per il cliente. Logisticamente, questa informazione sarà contenuta nel contratto scritto che oramai si è visto deve essere stipulato al momento del conferimento dell’incarico, che riguarderà dunque sia il sistema tariffario che le tutele in caso di danni subiti dal cliente. Nel nostro particolare settore forense, comunque, in molti casi questi nuovi obblighi rischiano di non tutelare adeguatamente gli utenti, dal momento che, in una causa civile della durata, poniamo, di sette anni, può darsi che il legale dimentichi, ad esempio, un termine al quarto anno, quando ha già cambiato compagnia assicurativa rispetto a quella che aveva al conferimento dell’incarico. Direi che la regola più importante sia quella dell’obbligatorietà della tutela assicurativa, in fondo.
E dulcis in fundo, la pubblicità:
g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, e’ libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.
Il gioco è sempre quello di trovare le differenze con quanto già previsto dalle riforme Bersani, che hanno introdotto appunto la possibilità di fare pubblicità informativa e di indicare le caratteristiche e i costi dei servizi offerti, facendo carico agli ordini di verificare la correttezza delle informazioni fornite dal professionista. Forse l’unico elemento di novità è rappresentato dall’espressione «con ogni mezzo». Alcuni ordini, infatti, avevano dubitato della compatibilità di alcuni media, come la radio e la televisione, con la dignità e il decoro del professionista. Così ad esempio il «mio» Ordine di Modena, con una circolare apposita, aveva avuto occasione di sostenere che (punto 5) «la pubblicità deve essere improntata a dignità e decoro sia per quanto attiene i mezzi di diffusione (opinabile e da valutare l’uso di radio e televisione) che per quanto riguarda i luoghi (affissione di cartelli in esercizi commerciali e in luoghi pubblici o aperti al pubblico)». Sulle specializzazioni, è chiaro che, dopo la clamorosa bocciatura del regolamento del CNF sugli avvocati specialisti, il legislatore avrebbe dovuto dire di più. Anche l’elemento relativo alla «struttura dello studio» può rappresentare un elemento di novità, dal momento che alcuni ordini avevano trovato da dire anche questo, sia pur molto più velatamente. In fondo è giusto che l’utente sappia se conferisce il mandato ad un legale titolare, ad esempio, di uno studio individuale, ovvero ad uno studio di dimensioni diverse, che può avere o meno personale amministrativo, professionisti che si occupano di diversi settori del diritto o altri settori professionali e così via.
In conclusione, nell’intervento in esame ci sono tutti i difetti tradizionali degli ultimi provvedimenti: scarsa, o molto scarsa, qualità tecnico-normativa, scorrettezza politica ed istituzionale dei contenuti, forte sapore di lobbismo.
Credo sia un provvedimento destinato a scontentare tutti, tranne forse grandi industrie e assicurazioni, se non addirittura anche quelli.
Chi è contro le liberalizzazioni, sarà rimasto di sasso nel vedere quello che credeva il «suo» governo fare un provvedimento del genere, che ricopia quasi pedissequamente le odiate riforme Bersani.
Chi, come me, è a favore delle liberalizzazioni sarà rimasto deluso per non aver trovato granché di nuovo, anzi solamente nuovi oneri per noi professionisti: formazione, retribuzione dei praticanti, assicurazione di rc professionale. Il meccanismo adottato di definizione di principi generali con «delega» a riforme successive consente ancora ampi margini di manovra, a partire dalla prossima discussione in Parlamento, ma bisogna capire che cosa vuol fare realmente la maggioranza, cioè se vuol liberalizzare davvero o solo dare qualche pennellata per accontentare le lobbies e i potentati, nazionali e comunitari. Se volesse liberalizzare veramente, ci sarebbe da fare molto di più e molto meglio.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento