L’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 prevede che l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro è consentita in presenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, anche se tali ragioni giustificative sono riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro. Circa la possibilità di concludere nuovi contratti a termine con lo stesso lavoratore è stabilito che nel caso in cui il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia superato i 36 mesi (termine comprensivo di proroghe e rinnovi) il rapporto di lavoro si converte in rapporto a tempo indeterminato (t.i). In altri termini, per non incorrere in illiceità e nel ricorso abusivo di tale strumento, il datore di lavoro può apporre il termine solo quando il fabbisogno lavorativo non sia permanente, ma si esaurisce entro un determinato o determinabile lasso di tempo.
Proposta di riforma
L’uso patologico del contratto a tempo determinato viene contrastato tramite una triplice linea di intervento:
a) incremento del relativo costo contributivo, maggiorazione che non si applica se il termine è apposto per ragioni sostitutive. La maggiorazione contributiva, alla stregua di “premio di stabilizzazione” potrà essere recuperata nel caso in cui alle assunzioni a termine faccia seguito quella a tempo indeterminato;
b) previsione di distacchi temporali più lunghi fra la stipulazione di un contratto a termine e quello a tempo indeterminato;
c) riduzione da 330 a 270 giorni del termine entro il quale il lavoratore deve proporre, a pena di decadenza, l’azione in giudizio. Si riconferma, invece, l’importo risarcitorio compreso fra 2,5 e 12 mensilità retributive.
Lilla Laperuta
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