Per i fondatori del M5s, la democrazia rappresentativa, fondata sul ruolo dei partiti, su uomini-di-partito depositari di un libero mandato, rappresenta un “imbroglio”. In attesa di Gaia, la terra promessa della web-democracy, meglio allora un Parlamento formato da lavoratori “a tempo”, vincolati ad un “progetto”, ad un incarico che possa essere revocato in qualsiasi momento. Meglio un Parlamento di cittadini, specchio del popolo che li ha eletti, tenuti al riparo da qualsiasi (ineluttabile) tendenza oligarchica. Per questo, il concetto di rappresentanza, nel discorso grillino, viene declinato perlopiù come rappresentatività. L’ideale Parlamento a 5 stelle è composto da persone “normali”, ordinarie: una Italia in miniatura, selezionata come se si trattasse di un campione statistico. Senza alcuna “distorsione” di genere, estrazione sociale, titolo di studio, provenienza politica (del resto, destra e sinistra non esistono più). «Sono tutte persone come voi – sottolineava Grillo, tra il 2011 e il 2012, presentando i candidati del M5s al pubblico dei suoi comizi-spettacolo – «sono geometri, un ingegnere, uno studente, un avvocato, uno spacciatore – per tenerci su un po’ il morale. C’è qualsiasi cosa!».
Ma, se l’assemblea rappresentativa a 5 stelle assomiglia alla “piazza”, e quindi al Paese, significa che il Paese contiene anche le pulsioni manifestate, in questi giorni, dai grillini tra i banchi delle due Camere. E poi amplificate, portate all’estremo dalla piazza virtuale dei social network: perché nella rete – si difendono i grillini – “c’è di tutto” (come nella società, e quindi in Parlamento). Significa che, nella società “civile” – o almeno in una parte di essa – si agitano anche gli orientamenti e i comportamenti stigmatizzati, in questi giorni, da molti osservatori. Ernesto Galli della Loggia, ad esempio, nel suo editoriale di lunedì per il Corriere, denuncia il “linguaggio dell’inciviltà” che accomuna gli adolescenti e i deputati italiani. Mentre un tweet di Ezio Mauro accusa il leader 5 stelle di spettacolarizzare la decadenza del Paese.
Il comportamento e il linguaggio messi in campo, nell’ultima settimana, da alcuni esponenti del Movimento – sicuramente poco onorevoli (etichetta, peraltro, bandita dal vocabolario a 5 stelle) – hanno dunque spiegazioni diverse. Testimoniano il tentativo di contrastare riforme (anzitutto quella elettorale) che potrebbero mettere ai margini l’unico vincitore delle Politiche 2013, protagonista del nuovo schema tripolare. Testimoniano, allo stesso tempo, una esasperata ricerca di visibilità mediatica, attraverso azioni eclatanti, per uscire dal cono d’ombra proiettato dal protagonismo renziano e dal patto “bipolare” con Berlusconi. Portando in superficie alcuni elementi autoritari e di scarsa sensibilità democratica presenti (quantomeno) in alcune frange del popolo grillino. E della sua classe politica: visto che nell’architettura del Movimento la separazione tra rappresentanti e rappresentati tende a scomparire. Proprio per questo, le azioni dei parlamentari a 5 stelle, in queste convulse giornate, mettono in evidenza i rischi connessi a un parlamento di cittadini “normali”: quando la distanza tra società e palazzo si riduce, fino ad annullarsi.
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