La “patrimonialina”: quando i ricchi ridono e i poveri piangono

Redazione 19/10/12
La chiamano “patrimonialina”, è il prelievo applicato ai rendiconti annuali di tutti gli investimenti. E’ una tassa, una delle tante, approvata con la manovra di fine anno. E’ passata un po’ sotto silenzio ma a ben guardare sa tanto di beffa. Intanto il dibattito si concentra sulla Tobin tax, uno 0,5 per mille da applicare alla compravendita di azioni e derivati quando almeno una delle controparti sia residente in Italia; chiaramente il governo si concentra su questa perché vale un miliardo di gettito e dovrebbe collocarsi in un sistema europeo condiviso.

Sulla Tobin tax esistono pareri contrastanti: molti vorrebbero venisse applicata ma dividendo fra investitori istituzionali e piccoli risparmatori, c’è poi chi, come Andrea Berlatti, presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, ricorda che l’economista James Tobin pensò la tassa non come un raccoglitore di aliquote ma per diminuire la volatilità delle transazioni. D’accordo anche Pier Francesco Saviotti, amministratore delegato del Banco Popolare, “un costo aggiuntivo che non sarebbe stato opportuno, per le banche e di conseguenza per tutto il Paese”.

Mentre la Tobin Tax è ancora in fase di discussione e quindi passibile di modifiche, la “patrimonialina” è una tassa certa e contraddittoria. Il paradosso è che indipendentemente dalla cifra che si abbia sul conto corrente, siano pochi euro o svariati milioni, il bollo da corrispondere al Fisco è sempre uguale; 34,20 euro. In pratica, dunque, chi sceglie di non correre rischi e di subire l’inflazione tenendo i soldi sul conto corrente o al Banco Posta continuerà a pagare il bollo da 34,20 euro e chi avrà meno di 5 mila euro di giacenza media sul conto sarà esentato.

Chi opta per correre qualche rischio in più, vincolando i soldi su un conto di deposito, oppure investendo (azioni, bond, fondi comuni, polizze unit linked, gestioni patrimoniali e tutto ciò che è investimento degno di rendiconto) corrisponderà, da ora in poi, una patrimoniale sul valore del suo capitale alla fine di ogni anno pari all’un per mille nel 2012 e all’1,5 per mille nel 2013 in poi.

La “patrimonialina” non prevede esenzioni per gli importi bassi, anzi c’è sempre un limite minimo rappresentato dal bollo che è ben più dell’1 per mille per tutti gli investimenti minori di 34.200 (nel 2012) e di 22.800 (dal 2013 in poi). “L’80% dei clienti che hanno fondi, circa 6 milioni di persone, possiede quote per meno di a 22.800 euro” sostiene Alberto Foà, presidente di AcomeA,sgr indipendente. I piccoli azionisti, dunque, se non saranno vigili o avvertiti per tempo, nel 2012 patiranno un vero e proprio salasso, inoltre nel 2013 potrebbero scegliere di riporre i soldi sul conto corrente o sul banco posta. In queste circostanze, infatti, il prelievo può vanificare e superare eventuali rendimenti, quindi meglio la liquidità secondo Foà che prospetta come ci possa essere un danno da fuga per coloro che vendono solo fondi e gestioni.

C’è un altro scenario ipotizzabile, tuttavia: se i piccoli risparmiatori scappano, i grandi patrimoni potrebbero invece trovare la via di condurre manovre di arbitraggio tra conto corrente e gestioni per evitare o, per lo meno, di addomesticare il prelievo. Il rischio, dunque, è che il bollo diventi un po’ come la tassa sulle barche che ha lasciato praticamente il Fisco senza gettito, i porti turistici deserti e gli yacht con bandiera tricolore ormeggiati in acque straniere.

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