Fulvio Sarzana ora pubblica – in esclusiva – il testo in italiano di quello che dovrebbe/potrebbe essere il comunicato della lettera inviata da Bruxelles a Roma.
Francamente trovo deplorevole che una comunicazione tra due istituzioni relativa a questioni tanto rilevanti e di evidente interesse pubblico sia clandestinamente pubblicata da un avvocato-blogger e non resa disponibile, in forma ufficiale, sui siti internet delle due istituzioni.
Ma veniamo al contenuto della comunicazione che credo vada letto con cautela e, soprattutto, evitando ogni allarmismo.
Se il testo appena pubblicato è conforme a quello effettivamente trasmesso a Roma da Bruxelles, occorre, innanzitutto, registrare che o a Roma sono poco attenti a tradurre quando scrivono a Bruxelles o a Bruxelles fanno grande fatica a comprendere quello che scrivono a Roma.
Alcune delle questioni sollevate dalla commissione nella comunicazione sono, infatti, il frutto di strafalcioni linguistici e evidenti problemi di traduzione che, francamente, preoccupano, inquietano ed allarmano in considerazione delle conseguenze che possono produrre.
Un esempio su tutti.
La commissione chiede all’AGCOM di spiegare quale sia “il campo d’applicazione della norma secondo la quale esiste la possibilità di non tenere in considerazione l’avviso presentate dalle entità legittima, conformemente all’articolo 6 (1) del progetto di regolamento (“[…] qualora queste siano già coinvolte in un avviso di rimozione e di procedura in relazione a contenuto o programmi distribuiti in violazione del diritto d’autore”.
A ben vedere, all’art. 6.1 del Regolamento è espresso un principio assai più semplice e lineare che non richiede alcun chiarimento: la procedura di notice and take down elaborata dall’AGCOM non si applica laddove il fornitore del servizio di media audiovisivi abbia già adottato una propria procedura avente la medesima finalità.
Allarmante, appunto, che chi ha esaminato il testo del regolamento sia inciampato in simili errori interpretativi.
Ma andiamo avanti e proviamo a passare dalle questioni di metodo – pure rilevanti – a quelle di merito.
L’aspetto più preoccupante della lettera che la Commissione ha indirizzato all’AGCOM è certamente rappresentato alle frequenti allusioni che i funzionari della UE fanno alla possibilità di interpretare il testo del regolamento nel senso di leggervi il riconoscimento in capo ad AGCOM anche di poteri di “blocco selettivo” dell’accesso a taluni contenuti, ovvero di oscurare contenuti e/o siti – anche stranieri – attraverso un ordine in tal senso impartito ai providers italiani.
La Commissione usa sempre il punto interrogativo e la formula della richiesta di chiarimento ma è, innegabile, che, così facendo, stia suggerendo all’Autorità di tornare all’originario intendimento che, appunto, prevedeva anche provvedimenti di blocco selettivo mediante ordine ai fornitori di accesso, specie per i contenuti pubblicati da soggetti stranieri.
Gli sforzi della Commissione per mascherare tale inopportuno “suggerimento” come una richiesta di chiarimento sono puerili ed infantili: la Commissione chiede, ad esempio, se con il termine “rimozione” di un contenuto ci si riferisca anche al blocco dell’accesso al contenuto medesimo.
E’ un comportamento grave, anzi gravissimo che non fa certamente onore all’Istituzione rappresentata dal firmatario della lettera, sfortunatamente l’italiano Antonio Tajani.
Non è certo compito della Commissione – ma è, invece, merito dei lobbisti dell’industria dei contenuti che ciò sia accaduto – invitare surrettiziamente un Paese ad adottare misure ancor più draconiane rispetto alla libera circolazione dei servizi nell’ambito di un procedimento nel quale – giova ricordarlo – il coinvolgimento della Commissione risponde proprio all’esigenza di evitare che i singoli Stati membri adottino “regole tecniche” idonee a limitare la circolazione dei servizi della società dell’informazione.
La Commissione, in ossequio alle richieste dell’industria dei contenuti e lasciandosi tirare per la giacchetta, così facendo, tradisce, dunque, i suoi compiti e le ragioni del suo coinvolgimento.
Segno, evidente, che, sfortunatamente Bruxelles non è più – o forse non è mai stato – il garante dei diritti dei cittadini europei digitali né della libertà di informazione in Rete.
E’ una lezione importante quella contenuta tra le righe della lettera, una lezione della quale dobbiamo far tesoro.
C’è, invece, poco da stupirsi nella circostanza che – sempre con la tecnica della pseudo richiesta di chiarimenti – la Commissione richiami l’AGCOM all’ordine circa l’eventualità di introdurre nel nostro ordinamento nuove ipotesi di fair use.
Sin troppo evidente che l’Autorità non potesse spingersi in questa direzione quanto – forse proprio contando sul pronto intervento della UE – ha mostrato di voler fare per andare incontro alle esigenze degli utenti.
Sin qui le note dolenti.
Occorre, tuttavia, riconoscere che la lettera della Commissione contiene anche taluni passaggi che dovrebbero far venire un po’ di mal di pancia alle frange più estremiste dell’industria dei contenuti ed ai loro rappresentanti in sede AGCOM.
La Commissione, innanzitutto, invita, abbastanza chiaramente, l’Autorità a mettere ordine nella gran confusione presente nel regolamento, circa i soggetti potenziali destinatari degli ordini di rimozione: ogni gestore di sito internet o i soli fornitori di servizi media audiovisivi?
La Commissione non lo scrive ma è piuttosto evidente – altrimenti non avrebbe avuto senso sollevare, da Bruxelles, il problema – che non ha gradito la circostanza che l’AGCOM abbia surrettiziamente cercato – come già da tempo denunziato – di ampliare a dismisura l’ambito di applicabilità del regolamento oltre quanto consentitole dalla disciplina europea, attuata dal famigerato decreto Romani.
I destinatari delle norme che l’Autorità si avvia a varare devono essere i soli fornitori di servizi media audiovisivi.
Sarà, dunque, il caso che in AGCOM si facciano passare la fantasia di diventare sceriffi della circolazione di tutti i contenuti nello spazio telematico: blogger, giornali online e soprattutto user generated content non possono essere assoggettati ad alcuna regola dettata in attuazione del Decreto Romani.
Un altro importante passaggio della comunicazione a favore di un più equilibrato approccio alla questione, è quello relativo al termine di 48 ore entro il quale – secondo agcom – il destinatario di un provvedimento di rimozione dovrebbe farle pervenire le proprie difese.
E’ un termine troppo breve, “neppure due giorni lavorativi!”, annotano i funzionari della UE.
Un altro aspetto a proposito del quale la Commissione boccia lo schema di regolamento è rappresentato dall’opportunità – sin qui negata – che anche l’uploader del contenuto possa preferire deferire la risoluzione della controversia all’Autorità giudiziaria ordinaria e, così facendo, sottrarla alla competenza dell’Autorità amministrativa.
E’ un punto importante.
Nessun dubbio, dunque, che, sfortunatamente, la Commissione si sia lasciata un po’ troppo tirare dalla giacchetta da parte dei titolari dei diritti ma, ad un tempo, occorre riconoscere che, a leggere bene tra le righe della comunicazione, non manca qualche stoccata contro certi eccessi della disciplina proposta dall’AGCOM.
Davanti a macroscopiche ingiustizie, evidentemente, la Commissione proprio non ha potuto chiudere gli occhi anche perché, in caso contrario, avrebbe davvero perso la faccia.
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