Tanto tuonò che piovve, si potrebbe esordire così dopo aver letto la sentenza del Tar di Palermo n 1276 del 19 giugno 2012, gentilmente segnalatami da Giovanni Antoci.
Il ricorso è stato introdotto dalla Provincia Regionale di Ragusa avverso il decreto col quale l’Assessorato Reg.le alle Autonomie Locali revocava il proprio precedente atto di indizione dei comizi elettorali e disponeva il commissariamento della medesima Provincia fino al 31 marzo 2013, data in cui saranno chiamate al rinnovo dei proprio organi tutte le altre Province Regionali. Il Giudice amministrativo, nel ritenere legittimo l’operato dell’Amministrazione Regionale, che correttamente ha fatto buon uso del principio tempus regit actum a seguito della sopravvenuta legge regionale n. 14/2012, respinge anche la sollevata questione di costituzionalità per violazione dell’art. 15 dello Statuto siciliano. Il Tar afferma che la citata L.r. n. 14/2012 non viola alcuna norma costituzionale anche perché “…non sopprime in alcun modo le province regionali, ma rinvia solo ad una legge successiva (da adottarsi entro il 31712/2012) il riordino degli organi di governo delle stesse”.
Tuttavia, la parte della sentenza che anima questo commento, e che merita di essere evidenziata per i riflessi di natura costituzionale ivi contenuti, è quella finale, che così recita: “Rileva, infine, il Collegio, ad abundantiam, che l’art. 15 dello Statuto della Regione Siciliana (approvato con r.d.l. 15/5/1946, n. 455 e conv. con l. cost. 26/2/1948, n. 2), avente rango di legge costituzionale, recita: <<Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali>>. Detta norma attribuisce, evidentemente, una diversa configurazione all’assetto istituzionale sovracomunale rispetto a quello attualmente esistente e scaturito dalla l.r. 6/5/1986, n. 9 e s.m.i. che ha attuato la norma costituzionale solo apparentemente secundum legem nel momento in cui ha determinato l’organizzazione delle province nella Regione Siciliana, come nel resto dell’Italia, quali enti locali territoriali dotati di autonomia anche politica e non solo amministrativa e finanziaria”.
Non vi è chi non vede in quest’ultima argomentazione del Tar una dichiarazione di incostituzionalità della famosa legge regionale n. 9/86 attraverso la quale il legislatore siciliano ha istituito le Province Regionali. La violazione dello Statuto siciliano che il Giudice amministrativo ha individuato è tutta nella non conforme applicazione dell’art. 15 dello Statuto ad opera della L.r. n. 9/86 che, com’è noto, risulta annoverato tra le fonti normative di rango costituzionale.
E poiché l’affermazione in questione non ci coglie affatto di sorpresa, si ritiene utile, e per certi versi anche corretto, riprendere integralmente il paragrafo dell’articolo “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”[1], dedicato ai profili d’incostituzionalità delle Province Regionali, ed illustrato nel corso della presentazione a Enna del libro “La faccia Intermedia del Leviatano”.
Questo il contenuto del paragrafo con evidenziato in grassetto le parti che, verosimilmente, hanno contribuito ad ispessire il convincimento del Giudice amministrativo:
Profili d’incostituzionalità delle Provincie Regionali
Se si analizza la questione delle province regionali sotto l’aspetto squisitamente costituzionale nascono spontanei alcuni dubbi in ordine alla conformità statutaria, ovvero costituzionale, del disegno ordinamentale contenuto nella L.r. n. 9/86.
Per quanto concerne i liberi consorzi di comuni, “Lo Statuto non ci dice nulla rinviando alla fantasia dei politici e degli amministratori, alla loro capacità di produrre idee, programmi di azione, nuovi moduli operativi”[2]. E così, il legislatore siciliano con la l.r. n. 9/86, facendo un uso temerario della discrezionalità di cui gode, raggiunge due obiettivi: a) l’istituzione formale dei liberi consorzi di comuni; b) la costituzione delle provincie regionali quali enti territoriali.
Non sembra irragionevole, in questa sede, affermare che la l.r. n. 9/86 è un atto di mechanè[3] del legislatore regionale che, in un determinato contesto storico e politico, preferisce istituire l’ente territoriale provincia, dribblando l’art. 15 dello statuto, essendo quest’ultimo soggetto alla procedura di revisione aggravata richiesta dall’art. 138 della Costituzione, attesa la nota natura costituzionale dello stesso. Sarebbe stato, infatti, più conforme alla lettera dello statuto e, probabilmente più opportuno, incardinare le province in sede di statuto, anche in sanatoria, cioè a seguito dell’approvazione della l.r. n. 9/86.
Ora, se non è dubitabile che una previsione normativa dello statuto siciliano possa essere censurata dalla Corte Costituzionale, come si dirà più avanti, a fortiori sono potenzialmente denunciabili per incostituzionalità le norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale, le quali, sotto questo profilo, sono ritenute sullo stesso piano delle leggi statali[4] e ciò ancorché le norme di attuazione degli statuti speciali si ritiene operino ad un livello superiore a quello della legge statale[5].
Per quanto poi concerne la natura ed il contenuto delle norme di attuazione, va rilevato che la giurisprudenza della Corte costituzionale[6] ha precisato come queste non siano da qualificare alla stregua di norme di mera esecuzione dello Statuto regionale, come se si trattasse di semplici regolamenti esecutivi. Al contrario, esse possono contenere norme primarie, ancorché di “attuazione” degli Statuti, e quindi rivestono carattere legislativo. Da tale carattere discende la necessità che il loro contenuto non sia in contrasto né con la Costituzione, e neppure con lo Statuto speciale, ma debbono, semmai, essere “in aderenza” al medesimo. Il concetto di “aderenza” può essere poi sottoposto al controllo della Corte Costituzionale proprio con riferimento al contenuto delle norme di attuazione e cioè verificando se le stesse siano contrarie o meno allo Statuto.
Corollario di questo ragionamento è che la l.r. n. 9/86, pur essendo una legge di rango superiore a quello ordinario, in quanto attuativa di una previsione dello statuto siciliano, ben può essere modificata e/o integrata dal legislatore regionale in qualsiasi momento.
C’è però da dire che l’evoluzione del quadro ordinamentale comunitario e costituzionale, come sopra illustrato, se per un verso ha reso decisamente più sopportabile l’eventuale incostituzionalità di cui è, verosimilmente, affetta la l.r. n. 9/86, dall’altro ha creato una rete di protezione costituzionale attorno all’ente territoriale “Provincia Regionale”[7]. Si potrebbe quindi sostenere che la l.r. n. 9/86, più che una norma di attuazione contra statutum o anche apparentemente secundum legem, sia qualificabile praeter legem.
Tuttavia, la Corte costituzionale, sempre nella citata decisione n. 20/1956[8], si è posta il problema delle norme di attuazione praeter legem, o anche apparentemente secundum legem, risolvendolo testualmente come segue: “Se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se queste integrazioni od aggiunte concordino innanzi tutto con le disposizioni statutarie e col fondamentale principio dell’autonomia della Regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla finalità dell’attuazione dello Statuto. Laddove, infine, si tratti di norme secundum legem, è ovvio che se esse, nel loro effettivo contenuto e nella loro portata, mantengano questo carattere, non è a parlarsi di illegittimità costituzionale, ma sarebbe pur sempre da dichiararsene la illegittimità nel caso che esse, sotto l’apparenza di norme secundum legem, sostanzialmente non avessero tal carattere, ponendosi in contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo dettate dalla necessità di dare attuazione a queste disposizioni”.
La l.r. n. 9/86, attuativa dell’art. 15 dello statuto siciliano, appare quindi, prima facie, “contra statutum” poiché, in luogo di liberi consorzi di comuni – enti pubblici non territoriali dotati di autonomia amministrativa e finanziaria – sono stati istituiti enti territoriali dotati non solo di autonomia amministrativa e finanziaria ma anche di autonomia politica. Essa quindi ha ampliato decisamente la sfera di autonomia regionale, ma ciò ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che fonda il proprio modello di organizzazione istituzionale delle autonomie locali sui comuni e su articolazioni degli stessi quali sono i liberi consorzi di comuni, senza alcuna intenzione di alterarne il disegno ordinamentale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha sempre affermato che “la capacità additiva si esprime pur sempre nell’ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalità e – come s’è pure rilevato – nel rispetto dei principi costituzionali”[9].
Lo statuto speciale siciliano (come gli altri del resto), è una norma di rango costituzionale (art. 116, comma 1, Cost.) approvata e modificabile secondo il procedimento speciale di cui all’articolo 138 Cost.[10]. Non sarebbe quindi ammissibile che una fonte di rango subordinato, qual’è la norma di attuazione n. 9/86, possa modificare una normativa di rango costituzionale.
A giustificazione della legittimità costituzionale della l.r. n. 9/86 neppure potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti o fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida.
In altri termini non sembrerebbe possibile sostenere che la sussistenza delle province regionali per oltre 25 anni costituirebbe di per sé una riprova della sua costituzionalità. Infatti non può ritenersi che la permanenza di una norma nell’ordinamento, per un periodo più o meno lungo, costituisca garanzia di costituzionalità, come dimostrano gli esempi dei consigli comunali e provinciali in tema di contenzioso elettorale amministrativo (Corte Cost. n. 93/1965), dei Consigli di prefettura (Corte Cost. n. 55/1966) o, ancora, delle giunte provinciali amministrative (Corte Cost. n. 30/1967).
[1] Pubblicato anche su “Amministrazione In cammino”, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 24/11/2011.
[2] Giovanni Pitruzzella in “L’alba della Sicilia”, Sellerio editore, Palermo, 1996.
[3] Una mechanè (mēkhanē) era una sorta di gru usata nel teatro greco, in particolare nel V e IV secolo a.C. Composto da bracci di legno e da un sistema di pulegge, questo marchingegno teatrale era usato per sollevare in aria gli attori, simulandone il volo. Era sicuramente in grado di sollevare almeno due persone e trasportarli nel mezzo dell’orchestra, oppure sopra la skené. Proprio per questo motivo, la mechanè era spesso usata per simulare l’intervento di un dio sulla scena, da cui l’espressione latina Deus ex machina (“Dio dalla macchina”) (Wikipedia).
[4] Corte Cost. 14 luglio 1956 nn. 14, 15, 16; 16 luglio 1956 n. 20; 19 luglio 1956 n. 22; 26 gennaio 1957 n. 15; 18 maggio 1959 n. 30, etc..
[5] Corte Cost. 18 maggio 1959 n. 30, Corte Cost. n. 13/1974.
[6] Corte Cost. Sent. n. 20/1956.
[7] La consapevolezza di un mutato quadro ordinamentale rispetto alla previsione dei Liberi Consorzi di Comuni contenuta nell’art. 15 dello Statuto si evince dalla Circolare applicativa della L.r. n. 9/86 emanata dall’Assessorato Reg.le agli Enti locali che così recita: “La nuova provincia conserva la connotazione associativa dei comuni, ma rimarca necessariamente, in linea con l’evoluzione dottrinaria di interpretazione dei principi costituzionali circa l’ordinamento degli enti locali e l’attuazione dello stato sociale, le componenti essenziali del territorio e di polo di direzione (che comporta l’individuazione fisica del centro operativo: il capoluogo) per lo sviluppo economico-sociale delle comunità che racchiude, per la formazione ed attuazione della programmazione regionale, per la razionale organizzazione delle strutture dei servizi e per l’attuazione del decentramento regionale ed anche statale”.
[8] Confermata da ultimo con sent. n. 353/2001.
[9] Corte Cost. nn. 212/1984, 213/1998.
[10] v. per la Sicilia l’art. 41 ter dello Statuto, aggiunto dall’art. 1 della L. Cost. 31 gennaio 2001 n. 2.
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