La crisi e il Diritto Utile

Il presente lavoro si propone di “raccogliere” le tracce segnate dal Direttore Giurdanella in merito alla bella riflessione del diritto in tempi di crisi.

Affinché vi sia una effettiva azione occorre dotare il “popolo” di strumenti di conoscenza e competenza anzitutto dei principali diritti costuzionalemente previsti ma a tutt’oggi non pienamente garantiti. La Costituzione deve avere “gambe e braccia” e deve muoversi tra la gente raggiungendola ovunque si svolga la vita del singolo e dei gruppi sociali.

E’ noto che la crisi economica è anzitutto crisi della politica e della morale, tuttavia la rassegnazione porta alla schiavitù e il cittadino deve vivere di democrazia e per la democrazia. L’ultimo Rapporto Censis mostra dati allarmanti. Punta sul concetto di sopravvivenza e di “restanza” ma questo  conduce ad una sorta di “usura istitituzionale” poiché la crisi spegne la dignità ed è necessario che la società civile si evolva attraverso la cultura. L’accesso alla cultura, all’istruzione alle ricerca libera il cittadino da vincoli; la democrazia è anche pedagogia  per un vero senso dello stato.

La scuola sono il punto di partenza e bisogna ripartire dalla semina dell’istruzione per il miglioramento del paese, per il risveglio di interesse per il sapere, la ricerca, la scienza, quanto mai necessari nell’attuale momento di crisi economica e di valori

La cultura deve ripartire dalla base della società, dall’educazione dei giovani e per tornare a crescere e dare i suoi frutti ha bisogno di tempo e di prospettive.

“La gente” non è più massa informe, deve essere un soggetto politico dotato di propria luce e identità. La gente è mortificata dalle decisioni di altra gente, che non si chiama gente. Si chiama classe dirigente, èlite. Siamo reduci da un governo di emergenza o di “stato di necessità” ma non è stata riportata l’economia a servizio dell’uomo contro il despotismo dei mercati e non sono stati evitati i problemi di smottamento etico.

 Gli incipit recenti di molti articoli o scritti sono stati più o meno così: nell’attuale contesto di crisi”; in questo momento difficile; nella complessa situazione. L’elenco potrebbe continuare, ma ciò che accumuna le diverse analisi è la condizione critica in cui versa il “malato” Paese. Un malato di molteplici patologie sociali. Malattie ben conosciute e rare al tempo stesso. Cure che non si trovano e che non si vogliono trovare. E “medici” con specializzazioni formali che non hanno la capacità di intervenire di disinfettare la società sempre più senza regole e senza certezze. Anche le più semplici. Quelle del buon vivere, del vivere civilmente.

E’ stato autorevolmente osservato che il diritto limita e condiziona le nostre azioni, ma che garantisce e difende i nostri diritti. E che  Il “diritto”, a differenza della “legge”, possiede una sua “carnalità”, assumendo le sembianze di una “storia vivente”, che si sviluppa attraverso un percorso segnato dalla consuetudine, dalla prassi, dalle convenzioni, dalle interpretazioni rese dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In questo senso, opera la riscoperta delle tre dimensioni proprie dello “ius” occidentale: la dimensione “comunitaria” – il diritto è un fenomeno sociale -; la dimensione della “natura delle cose” – il diritto sta scritto dentro i fatti, di per sé stessi “normativi.

Lo sviluppo della cooperazione e delle società di cooperazione è andato di pari passo alla crescita economica e culturale, ha seguito i bisogni economici e sociali delle comunità sin dalle prime forme di società tribali che perseguivano regole di vita più giuste e che facendo prevalere una regolamentazione morale e di diritto all’interno del gruppo stesso, della comunità basata sugli stessi principi di giustizia.

Comunità tribali e poi società che sono state in grado di gestire conflitti di convivenza su uno stesso territorio attraverso la creazione di equilibri armonici tra bisogni individuali, economici, sociali, di sopravvivenza e di convivenza nell’ambito di una giustizia riconosciuta e formalizzata in un sistema di norme ed in seguito di leggi e di codici.

Le prime forme di solidarietà sociale si registrarono proprio in quelle forme di vita cooperative e di corporazione che si configurarono con l’avvento della società dei mestieri e del lavoro, già nell’età dei Comuni e poi con la nascita della società industriale, dalla nascita delle prime associazioni di mutuo soccorso che sebbene caratterizzate da sistemi chiusi, elitari, o di gruppi con precise caratteristiche cominciarono a diffondersi e ad operare attivamente nella società civile.

Tutto ciò fa ritenere che la solidarietà sia piuttosto un costrutto sociale messo in atto da gruppi di lavoratori cooperanti, da professionisti od intellettuali stretti da un patto e basati su un vero e proprio sistema di governo democratico, su principi di responsabilità che gli stessi devono assumersi nei confronti della base che rappresentano, che non un fatto naturale.

Questa premessa è valida per spiegare il concetto di solidarietà dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista delle istanze e dei bisogni messi in atto per difendere e garantire una dignità, mantenere un profitto attraverso cui assicurare una forma di sussistenza e di sopravvivenza ad una legge di mercato, per la difesa di un diritto o per la conquista di un diritto civile ancora da acquisire. Ecco che la solidarietà si configura nell’accezione di “pagamento in solidum” nei confronti di una istanza sollevata da una parte della società che rivendica i propri diritti: si pensi alla lotta per l’affermazione dei diritti di parità tra uomini e donne, alla lotta per il riconoscimento e l’integrazione scolastica, sociale e lavorativa dei portatori di handicap, alle lotte per il riconoscimento dei diritti dell’Umanità e dell’Infanzia e così via.

E’ nell’ambito di queste “battaglie civili” che la cooperazione, la solidarietà si configurano  come movimenti che operano per il diritto, attraverso il diritto, nel diritto e per diritto e che si interfacciano con le parti e le strutture sociali, istituzionali e statali e si configurano altamente democratiche e rappresentative  di una base e delle sue esigenze, o dovrebbero configurarsi tali.

Anche i partiti politici, l’associazionismo che era alla base della natura dei partiti, nasceva da questi bisogni sociali di ideologie da promuovere, da rivendicare e di attività atte al miglioramento della “Res Publica”. Partiti politici ancora mossi da principi di associazionismo e di comunità tendenti al bene comune , alla rappresentatività governativa, a  forme di democrazia più primitive e dirette e dalle quali si è da tempo allontanata la realtà politica italiana.

Proprio la diffusa disgregazione dei rapporti tra i gruppi sociali, tra i membri di uno stesso gruppo ha portato verso quei problemi che viviamo nella società attuale dove si avverte l’assenza dei principi ideologici, l’assenza dei principi morali laici, la carenza di identità individuale, culturale, istituzionale, la crisi delle coscienze civili. Tali carenze demandano a degenerazioni e a deviazioni sociali sempre più diffuse non solo tra la popolazione adulta, ma anche e soprattutto tra la popolazione giovanile che non gode più della presenza di istituzioni salde e capaci di svolgere processi educativi intenzionali, ma subisce l’influenza di modelli virtuali e non virtuali vischiosi, mutabili e privi di “coscienza”.

E’ proprio dai conflitti sociali che spesso prende atto una ricerca costruttiva delle soluzioni attraverso forme di cooperazione tra più parti capaci e con attitudine verso il Problem Solving, un’attitudine che la società della globalizzazione, necessariamente deve possedere  e mettere in atto in una realtà, continuamente mutevole e dove l’individualità viene schiacciata e repressa da masse di anonima uguaglianza.

Sarebbe interessante parlare di “economia della solidarietà” piuttosto che il contrario e cioè di “solidarietà dell’economia”, perché stabilire i principi di un sistema sociale sulla realtà cooperativa e di solidarietà sposterebbe l’attenzione sul problema culturale, sul valore Persona, sulle risorse umane, sulla creatività artistica e tecnica, sul patrimonio materiale e idealistico presenti nel nostro Paese non solo per il benessere individuale, ma dei gruppi sociali, per le imprese, per i mercati, per il lavoro, per la società tutta.

Ciò creerebbe legami tra le diversità dando valore alle stesse che emergerebbero dalle masse globalizzate attraverso quelle peculiarità e quelle particolarità che sostanziano il diritto e si sostanziano nel diritto, dando volto alla società civile.

Una società civile non può annientarsi nello Stato o nella Comunità se prima non ha riconosciuto la propria identità ed è stata capace, prima, di mantenere una relazione tra il tutto e le parti, tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i dirigenti ed i diretti.

In questo modo la solidarietà, che si configura come costrutto sociale, mantiene la sua sostanza ed essenza naturali che la contraddistingue dalle altre forme di relazione poste in essere tra gli esseri umani. Una forma di cooperazione in cui sussiste quel patrimonio valoriale che spinge gli esseri umani verso i propri simili attraverso un sistema ideologico sorretto da una vita pratica e pragmatica che consenta alla società civile di organizzarsi, strutturarsi in sistemi operanti e cooperanti basati su idee e azioni, orientati alla cultura e alla dignità umana, al superamento dei conflitti, verso forme di vita migliori, dotate di coscienza sociale, solida, laica, progressista.

Tutto questo lungi dall’essere demagogico ma verso una nuova sostanza cooperativa e di solidarietà della società per porre le basi di una nuova civiltà basata su quei principi del diritto che se messi nella condizione di essere realmente vissuti possono rendere possibili quegli esiti e quelle risoluzioni di giustizia, occupazione, ricerca, lavoro,egualità, cooperazione e sviluppo e cultura per tutti gli uomini che mirano ad ottenere, nel rispetto della Legge, della natura attraverso un’ecologia e uno sviluppo sostenibile una vera società civile.

Antonio Capitano

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