Prendendo spunto da questo bell’intervento di Eleonora Cannizzo, vorrei cogliere l’occasione per approfondirne un aspetto, relativo al valore delle disposizioni costituzionali sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Al riguardo, sono state scritte molte cose, con le quali in ogni caso non mi sono mai trovato concorde: secondo alcuni, la Costituzione italiana sarebbe contraria al matrimonio gay, e addirittura alle unioni civili, secondo altri sarebbe favorevole.
In realtà, la posizione della nostra carta fondamentale è, sul punto, assolutamente e chiaramente neutra e lo è in maniera talmente chiara da far quasi dubitare della buona fede di chi vuol rinvenirvi indicazioni in un senso o nell’altro. Leggiamo insieme la disposizione che ci interessa:
Art. 29.
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Questa disposizione dice che la famiglia è fondata sul matrimonio, ma non dice affatto che il matrimonio deve essere consentito solo a coppie in cui i partner hanno un sesso diverso. La nozione classica di matrimonio è sicuramente questa, ma è sotto gli occhi di tutti, anche di chi, del tutto legittimamente, è contrario, che in molti paesi del mondo, anche di civiltà giuridica a noi assolutamente affine come la Spagna, l’istituto matrimoniale è stato dalla legge esteso anche alle coppie omosessuali.
Il primo, vero contenuto precettivo della nostra carta sta, in realtà, nel prescrivere che famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio non debbano mai avere una disciplina uguale. Si tratta di un principio in fondo giusto, dal momento che in questo modo è lasciata agli individui la facoltà di scegliere la forma, e di riflesso anche la forza, da dare alla famiglia che vogliono formare: unione libera, come la convivenza, o famiglia con vincoli reciproci come nel matrimonio. Non è una cosa scontata o dappoco: ci sono stati Paesi in cui, in considerazione della grande diffusione delle unioni di fatto, la convivenza è stata equiparata al matrimonio, ma in questo modo si sono privati gli individui della libertà di scegliere una forma di unione più libera e si sono «sposate d’ufficio» tutte le persone che avevano in comune magari un semplice stato di famiglia.
La parte che, comunque, più dovrebbe interessare chi si interroga sulla vera posizione della Costituzione sulle unioni omosessuali è quella in cui la famiglia viene definita una «società naturale». Con questa espressione, come viene comunemente evidenziato, la nostra carta fondamentale ha voluto affermare che la famiglia è un fenomeno che preesiste al diritto, una realtà che il diritto non crea, ma si trova davanti; soprattutto, è una realtà, un mattone fondamentale dell’organizzazione sociale e dell’esperienza umana di ciascuno di noi, che il diritto non può piegare ad altri scopi, considerati superiori, come a volte è avvenuto in alcuni Paesi in cui si sono compiuti spesso tragici esperimenti di modifica sociale, ma che deve accettare per come è, salvo naturalmente i fenomeni di devianza.
Se questo è vero, se cioè la Costituzione delega alla società, alla realtà delle cose, la definizione di famiglia, allora è nella società che dobbiamo trovare la risposta al nostro interrogativo, anche se naturalmente ognuno rimane libero di osservare a modo suo e trarre le proprie conclusioni, ragione per cui quella che si propone di seguito è sicuramente una conclusione opinabile, la mia opinione. Guardiamo, dunque, la società, in tutti i suoi aspetti, compreso il diritto positivo stesso, che spesso altro non è che una espressione della società.
Se facciamo questo, vediamo che nella società ci sono, oggettivamente (e questo anche se a qualcuno possono dare fastidio), coppie di persone dello stesso sesso che si prestano vicendevolmente assistenza per tutta la loro vita, comportandosi come coniugi, con riferimento non necessariamente all’intrattenimento di rapporti sessuali tra loro, ma anche a tutti gli altri comportamenti di una coppia unita in matrimonio, che in fondo è un vincolo di solidarietà reciproca. Analogamente, nel nostro diritto civile italiano il matrimonio dell’impotente, anche di avere rapporti sessuali, è annullabile solo se tale impotenza era sconosciuta all’altro partner prima del matrimonio; questo significa che se un uomo incapace di avere rapporti sessuali e una donna che conosce l’impotenza del partner vogliono sposarsi per stabilire un vincolo di solidarietà reciproca tra di loro e costituire una famiglia, sia pur «bianca» per l’assenza di rapporti, lo possono fare del tutto validamente.
A me pare innegabile che questi fenomeni esistano e che unioni familiari di questo tipo siano utili a chi ne fa parte ed al resto della società, alla quale comunque non arrecano alcun pregiudizio. Io, ma questa è solo la mia opinione, penso che queste unioni siano delle vere e proprie famiglie, in cui ci si aiuta vicendevolmente e ci si vuol bene, ci si evolve o comunque ci si assiste, famiglie dunque alle quali la nostra Costituzione non impedirebbe affatto l’estensione dell’istituto matrimoniale, anche in considerazione del principio di tutela delle «formazioni sociali» contenuto nella parte prima della carta. Questo anche perchè il sesso, che è l’elemento cui corre il pensiero comune quando si parla di famiglie omosessuali, non è in realtà il centro di fenomeni come questo. D’altra parte, tutti sanno che per praticare sesso, di qualsiasi genere, non è certo necessario metter su famiglia; se lo si fa è perchè si vogliono raggiungere altri obiettivi con una persona sulla quale si fa affidamento ed alla quale si vuole bene.
Ovviamente, l’adozione e altri diritti in capo alle coppie omosessuali sono tutt’un altro paio di maniche, ma per quanto riguarda l’istituto matrimoniale mi pare che se ne possa concludere come sopra. Almeno stando al diritto posto dalla nostra Carta fondamentale alla quale, come capita un po’ a tutti i testi fondamentali e di riferimento, ognuno vorrebbe mettere in bocca le proprie idee, pretendendo, in questo modo, di oggettivizzarle. In realtà, la Costituzione non impone nulla, ma nella sua saggezza si limita a far riferimento alla società, nella sua complessità, elasticità ed evoluzione nel corso del tempo.
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