La Costituzione al tempo di Internet

E’ trascorso un decennio dalla riforma costituzionale del 2001 (legge costituzionale n. 3 del 2001, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), che ha introdotto nella nostra Carta costituzionale un espresso riferimento alla materia “informatica”, precisamente nel nuovo testo dell’art. 117, che annovera – tra le materie di competenza esclusiva del legislatore statale – l’oramai ben noto “coordinamento  informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale” (art. 117, co. 2, lett. r), Cost.).

Molto è stato scritto a riguardo, e molto ci ha detto anche la Corte costituzionale con una serie di pronunce, a partire dalla oramai storica sentenza n. 17 del 2004, con la quale ebbe a precisare che il coordinamento di cui all’art. 117 Cost. doveva intendersi, con riguardo alle Regioni,  come “un coordinamento meramente tecnico, per assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i  sistemi informatici della pubblica amministrazione”.

Da allora la Corte è tornata più volte sul tema dell’informatica pubblica, perché non poche sono state le questioni di costituzionalità di leggi regionali o statali sottoposte al suo vaglio; basti pensare alla sentenza della scorso anno con cui la Consulta si è finanche “dovuta” occupare della tematica del software a codice sorgente aperto o open source (sent. n. 122 del 2010).

Le tecnologie informatiche e telematiche sono, dunque, ampiamente entrate nel nostro ordinamento; i tempi sono quindi maturi per avviare finalmente una riflessione sulla necessità di nuove forme di  tutela del cittadino al cospetto di una pubblica amministrazione che – come da Costituzione –  ricorre ampiamente all’uso degli strumenti informatici, tanto da connotarsi come pubblica amministrazione digitale.

E il cittadino?

E’ in grado di accedere consapevolmente alle tecnologie nella relazione con questa nuova pubblica amministrazione digitale?

Non è forse giunto il momento di riconoscere l’accesso ad Internet (intendendo con esso, in senso lato, l’accesso agli strumenti informatici e telematici) come un nuovo diritto, “il” nuovo diritto sociale della contemporanea società dell’informazione, funzionale all’esercizio di altri diritti fondamentali?

Come non vedere nell’accesso ad Internet oggi un presupposto necessario di quel  “pieno sviluppo della persona umana” e di quella “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” inscritti nell’articolo 3 della Costituzione?

La riflessione sul tema è oggi ampia e condivisa (v. i lavori del Seminario di Roma del 30 novembre 2010, i cui Atti sono in corso di pubblicazione), come ci ricorda anche Stefano Rodotà con la proposta provocatoria di introdurre nella nostra Carta costituzionale un nuovo articolo 21-bis rubricato per l’appunto “diritto di accesso ad Internet”.

E in molti Paesi il percorso istituzionale è avviato (con riconoscimenti espressi in via legislativa se non addirittura  con modifiche costituzionali); in Italia, invece, il livello istituzionale è pressoché silente. Perché?

Marina Pietrangelo

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