Lo Statuto di Roma, siglato il 17 luglio 1998, è entrato in vigore il primo luglio del 2002 segnando un punto di non ritorno nella storia della lotta contro l’impunità per i crimini più gravi che offendono la comunità internazionale. Per la prima volta è stato definito, specificamente, un nucleo di crimini, i c.d. Core crimes, che rappresentano per la loro gravità un’offesa all’intera collettività internazionale.
La Corte penale internazionale è stata, infatti, deputata ad esercitare la propria competenza giurisdizionale nei confronti di quelle violazioni dei diritti umani come il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra che, per gravità e rilevanza internazionale, minacciano la pace e la sicurezza dei popoli.
La funzione di complementarietà della Corte dovrebbe contribuire a porre fine al gravissimo fenomeno dell’impunità dei grandi criminali internazionali: in base al principio di complementarietà, infatti, la giurisdizione della Corte può essere attivata qualora venga accertata l’incapacità o la mancanza di volontà dei tribunali interni di agire penalmente nei confronti dei presunti criminali. La prerogativa di perseguire il crimine è, dunque, lasciata in prima istanza alle corti nazionali e, solo una volta fallito il sistema penale interno, entra in azione la giurisdizione internazionale.
Per lo Statuto della Corte “reclutare o arruolare fanciulli di età inferiore a 15 anni (…) o farli partecipare attivamente alle ostilità” (art. 8, comma 2) integra un crimine di guerra. Questa disposizione è venuta in rilievo nel caso Lubanga, il primo processo della Corte contro il capo di un gruppo armato congolese, Thomas Lubanga Dyilo, accusato di arruolamento, coscrizione e uso di bambini al di sotto dei 15 anni per partecipazione attiva alle ostilità.
L’arruolamento e l’utilizzo di bambini e adolescenti nelle ostilità è un fenomeno molto più esteso di quanto si pensi e comprende:
l’arruolamento illegale da parte di gruppi armati;
l’arruolamento forzato da parte delle forze governative;
l’arruolamento o l’utilizzo di bambini nelle milizie o altri gruppi alleati con le forze armate;
l’utilizzo di bambini come spie;
l’arruolamento nell’esercito regolare in tempo di pace.
Per troppi anni la comunità internazionale si è marginalmente impegnata contro la denuncia di tali crimini lasciando così impuniti i diretti responsabili di simili violazioni del diritto.
Grazie al recente verdetto della Corte sul caso Lubanga è stato inaugurato un nuovo cammino verso il riconoscimento di una giustizia per i bambini soldato attraverso il riconoscimento di una responsabilità penale individuale per coloro che hanno reclutato e utilizzato bambini durante le ostilità.
Non si tratta, tuttavia, della prima condanna a livello internazionale per tale crimine, considerati gli analoghi verdetti emessi dal Tribunale Speciale per la Sierra Leone. In particolare, dello stesso crimine è accusato anche Charles Taylor, ex Presidente della Liberia.
Nel caso dell’ex capo delle milizie congolesi, Thomas Lubanga è colpevole di crimini di guerra per aver reclutato migliaia di bambini soldato durante la guerra civile della Repubblica democratica del Congo.
Il tribunale dell’Aja ha riconosciuto Lubanga colpevole per tutti i reati contestati, in particolare è stato riconosciuto colpevole dei crimini di coscrizione e arruolamento di bambini di meno di quindici anni per averli fatti partecipare a un conflitto armato.
Il processo a carico dell’ex signore della guerra era iniziato il 26 gennaio 2009, dopo essere stato arrestato e trasferito all’ Aja a seguito di un mandato di cattura internazionale per l’omicidio di nove caschi blu della MONUC (missione Onu in Congo).
Lubanga è stato il leader fondatore dell’Unione dei Patrioti Congolesi (Upc) e delle sue forze armate, le Forze patriottiche per la Liberazione del Congo (Fplc), nate nel 1999 dal caos esploso con la seconda guerra nel Paese. In quel periodo, nella regione nord-orientale dell’Ituri, le antiche ostilità inter-etniche tra Hema e Lendu sono sfociate in un cruento conflitto armato nel quale hanno perso la vita circa 60 mila civili.
La milizia aveva arruolato fra le sue fila, con la forza, centinaia di bambini costretti a combattere nel conflitto inter-etnico che, per più di 5 anni, dal 1999 al 2003, ha insanguinato la regione dell’Ituri.
Le forze di Lubanga combattevano a difesa degli Hema ed erano una delle sei milizie che, fino al 2003, si fronteggiarono – spesso col pretesto dell’odio etnico – per il controllo dell’Ituri e delle sue incredibili risorse auree.
Le prove prodotte dimostrano che Lubanga ha costretto migliaia di bambini in campi di addestramento, sottoponendoli a violente punizioni e duri allenamenti per il mancato rispetto delle ferree regole dei miliziani.
Alcuni studenti erano direttamente arruolati per strada, portati nei campi militari mentre tornavano a casa, all’uscita di scuola.
Nella sua relazione introduttiva il procuratore argentino Luis Moreno-Ocampo ha accusato l’imputato Lubanga di aver reclutato e addestrato centinaia di giovani tra i 9 e i 13 anni per uccidere, saccheggiare e violentare migliaia di nemici o di semplici abitanti delle zone contese. “I bambini“, ha sostenuto il procuratore, “continuano a soffrire delle conseguenze dei crimini che sono stati costretti a commettere. Non possono dimenticare ciò che hanno visto. Molti tra loro riescono a sopravvivere ai terribili ricordi solo ricorrendo a droghe, altri vivono prostituendosi“.
Ora nel mirino della Corte penale internazionale restano, tra gli altri, l’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo, consegnato nel novembre 2011 all’ Aja, e il presidente sudanese Omar al Bashir che, nonostante sia ricercato, resta saldamente a capo del Paese.
Tra i ricercati eccellenti figura un altro signore della guerra, l’ugandese Joseph Kony, leader dei ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore e ricercato dal 2005.
La sentenza sul caso Lubanga, di poco successiva al video-denuncia “Stop Kony 2012” ha mandato un messaggio importante per chi – come loro – ha reclutato bambini soldato nel proprio esercito e dimostra che il mondo occidentale, dopo anni di imbarazzante silenzio, ha finalmente diretto il suo sguardo su uno dei più terribili crimini umanitari del continente africano.
Accusata da molti di essere scarsamente operativa, mancando di una effettiva forza di polizia e limitata a condurre indagini solo nei 120 paesi che ne riconoscono formalmente l’autorità, la Corte penale internazionale ha riscosso, con questa sentenza, un successo importante che potrebbe segnare un punto di svolta nella storia del diritto internazionale.
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