Così la Corte Costituzionale ha sancito, lo scorso 7 giugno, la legittimità costituzionale del cd. “diritto vivente”, secondo cui sarebbe sufficiente motivare il giudizio negativo, negli esami di abilitazione, con il semplice voto numerico.
La Corte osserva come non sia sostenibile – come spesso affermato – che il punteggio indichi soltanto il risultato della valutazione: “esso, in realtà, si traduce in un giudizio complessivo dell’elaborato, alla luce dei parametri dettati dall’art. 22, nono comma, del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale, nei limiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa”.
Il che vale a dire che “il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione, in presenza dell’ampio potere tecnico-discrezionale spettante agli organi preposti alla valutazione, può avvenire soltanto in caso di espressione di giudizi discordanti tra i commissari o di contraddizione tra specifici elementi di fatto, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto”.
Così opinando, non risulta violato l’art. 117 Cost., costituendo i principi del giusto procedimento e della trasparenza parte del «patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei» in forza dell’art. 296 del Trattato, semplicemente perchè, secondo la Consulta, “la disciplina degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario”.
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