E’ notizia di queste ora come le varie forze politiche abbiano presentato circa 500 emendamenti in totale in Commissione Lavoro a Montecitorio, così suddivisi: 300 dal MoVimento 5 Stelle, 150 da Sinistra, Ecologia e Libertà, 50 dalla Lega Nord, 11 da Forza Italia, e quindici dal Partito democratico.
Ieri, infatti, si è chiuso il termine per al presentazione delle correzioni alla Camera. Presenti, ovviamente, anche gli emendamenti della minoranza Pd a capo di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e Pippo Civati, per ottenere garanzie sull’articolo 18. Si tratta della questione senza dubbio più spinosa, insieme a molte altre, anch’esse presenti nelle proposte di correzione giunte al presidente Cesare Damiano, che vanno dai voucher al demansionamento, altri punti fondamentali del ddl approvato in Senato.
In vigore dal primo gennaio 2015
Nonostante i partiti non stiano correndo troppo con il disegno di legge – a un mese dall’ok a palazzo Madama si è appena chiusa la consegna degli emendamenti alla Camera – il premier Renzi ha imposto la data del primo gennaio 2015 per l’avvio del corso di effettività della legge. Con questo paletto, ha rassicurato il presidente del Consiglio, saranno possibili modifiche tra quelle giunte in commissione.
L’altra faccia delle dichiarazioni del premier non è un segreto: se continuerà il tira e molla tra forze politiche, sindacati e minoranze, il governo non esiterà a porre la questione di fiducia sul Jobs Act. Un passaggio molto delicato, che potrebbe vedere l’ala sinistra del partito di Renzi voltare le spalle al governo, che in ogni caso arriverà dopo l’ok definitivo alla legge di stabilità 2015, anch’essa alla Camera.
Cosa può cambiare
Sotto la lente di ingrandimento, insieme all’articolo 18, sarebbero finiti i licenziamenti disciplinari, uno degli aspetti più controversi sul tema dell’abbandono forzato del posto di lavoro. Secondo quanto trapela dalla commissione Lavoro, uno degli emendamenti presentati chiederebbe il reintegro per questo genere di licenziamenti.
Sul fronte dell’articolo 18, il governo vorrebbe rinviare tutto ai decreti legislativi seguenti – in proposito, due sarebbero già pronti a entrare in vigore non appena il ddl avrà ricevuto l’ok del Parlamento. Una posizione che, però, non convince sindacati e minoranza Pd, pronta a dare battaglia in aula, anche a costo di votare la sfiducia.
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