Quella in commissione è stata, dunque, una fase di rito ma senza particolari modifiche apportate al testo. E pensare che, nelle ore immediatamente successive all’ok ottenuto alla Camera, si erano materializzati altri 76 emendamenti. Due parevano le strade dinanzi al governo: porre di nuovo la fiducia, oppure rischiare un nuovo, problematico ritorno a Montecitorio, oltretutto con un ingombro non di poco conto: la legge di stabilità. Invece, proprio quando sembrava che l’accordo trovato una decina di giorni fa tra governo e una parte dei dissidenti interni, alla fine, reggesse fino a portare il Jobs Act al traguardo, il ministro Poletti ha posto la questione di fiducia.
Così, allora, si apre la nuova fase, quella più incisiva per le ricadute pratiche, sociali ed economiche, della nuova legge sull’occupazione. Trattandosi di un disegno di legge delega, infatti, il succo delle novità arriverà solo di qui in avanti, con i prossimi decreti legislativi.
I decreti delegati
Sono 5 gli ambiti in cui il governo si troverà a legiferare nei prossimi mesi. Contratti e licenziamenti. Il primo, e più atteso provvedimento collegato al Jobs Act sarà senza dubbio il collegato che introdurrà la disciplina del contratto a tutele crescenti, la base per tutte le innovazioni proposte nella legge delega. Così, aumenteranno le garanzie in progressione sull’anzianità aziendale e, insieme, aumenterà anche il probabile indennizzo in caso di licenziamento disciplinare. Si rafforza il demansionamento in azienda e viene definito un compenso orario minimo. All’interno del decreto sui nuovi contratti di assunzione, infatti, saranno incluse anche le disposizioni sui licenziamenti, quelle più contestate che vanno a cambiare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Secondo quanto inserito nell’ultima versione del ddl, che ha visto il richiamo esplicito a questa disciplina rispetto alla versione originaria, il mantenimento dei licenziamenti discriminatori inalterato, con diritto al reintegro, che viene invece cancellato per i licenziamenti economici. Lo stesso avverrà per specifiche situazioni ascrivibili al licenziamento disciplinare, che saranno elencate proprio nel testo previsto per gennaio-febbraio. Attese anche le istruzioni operative per il calcolo degli indennizzi in caso di licenziamento, materia che sarà risolta solo nel decreto ad hoc. Si sta ragionando, a quanto emerso dagli uffici del ministero, a un abbassamento delle mensilità corrisposte in caso di allontanamento, che scenderebbero da 36 a 24, considerando un mese e mezzo di stipendio ogni annualità trascorsa in azienda. Il tetto di mensilità calcolate dovrebbe essere pari a sei, dunque fino a quattro anni di lavoro continuativo prima del licenziamento. Questo potrebbe essere un indicatore preciso: dopo il quarto anno, il contratto a tutele crescenti potrebbe avvicinarsi molto a quelli in vigore fino a oggi in quanto a tutele. Ammortizzatori. Capitolo spinoso del Jobs Act sono certamente gli ammortizzatori sociali, anche perché rappresentano l’unico ambito della riforma in cui lo Stato è chiamato a stanziare dei fondi aggiuntivi. Innanzitutto, la cassa integrazione non verrà riconosciuta nei casi di cessazione dell’attività aziendale. Dovrebbe poi verificarsi l’integrazione tra Aspi e mini Aspi – le indennità di disoccupazione – nella nuova Naspi, il sussidio universale che dovrebbe comprendere anche i precari. Maternità. Si tratta di una delle bandiere del governo nel sostegno al Jobs Act: l’introduzione del diritto alla maternità anche per le lavoratrici precarie. Oltre a questo ambito, poi, il governo intende recare nuove concessioni sulla possibilità di cedere giorni di ferie tra dipendenti, in caso di necessità per assistenza a un minore in particolari condizioni di salute. Infine, si promuoverà il telelavoro. Politiche attive. Tra le novità, l’istituzione dell’Agenzia nazionale dell’occupazione, la messa a punto di incentivi a imprenditorialità e occupazione, nonché il rafforzamento dei servizi per l’impiego. Vai al testo definitivo del Jobs Act
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