Ma, al di là delle questioni meramente politiche, quali sono le reali modifiche che il maxiemendamento presentato dal governo porterà innanzitutto al Jobs Act e poi allo Statuto dei lavoratori?
Non è un mistero, infatti, che gli attriti politiche degli ultimi mesi siano tutti incentrati sulla possibile riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con una nuova disciplina che potrebbe minare le tutele dei lavoratori in caso di licenziamento.
Ma vediamo come potrebbero cambiare le varie tipologie ora che, forse, abbiamo in mano il testo definitivo del ddl Jobs Act, che per sua natura verrà comunque completato dai decreti delegati, alcuni dei quali, stando alle indiscrezioni, sarebbero già nei cassetti del ministero del Lavoro.
Licenziamento discriminatorio
Com’è oggi: piena tutela per chi viene licenziato in base a caratteri come l’iscrizione a un sindacato, oppure l’orientamento sessuale, o, ancora, il colore della pelle. Nel caso in cui un lavoratori provi di essere stato vittima di questo genere di trattamento, allora il datore di lavoro non solo sarà condannato al reintegro, ma anche al pieno risarcimento dei danni subiti.
Come sarà: nessuna modifica verrà apportata a questa categoria di licenziamenti. Il governo ha escluso dal primo momento di voler toccare queste garanzie e la normativa resterà esattamente identica.
Licenziamento economico
Com’è oggi: in caso di difficoltà dell’azienda a sostenere costi e mantenimento del personale, viene prevista la reintegra completa solo se il fatto rivendicato dal datore di lavoro viene certificato “manifestamente insussistente”. In caso contrario, cioè di giustificato motivo oggettivo, viene disposta un’indennità compresa tra i 12 e 24 mesi, che sarà di un anno qualora venga disposto il rientro del lavoratore.
Come sarà: cambierà l’articolo 18 nella parte in cui viene stabilito che un’azienda, se in crisi o in corso di ristrutturazione interna, decide di lasciare a casa uno o più dipendenti. Qualora il licenziamento venga definito illegittimo, per il lavoratore arriverà un indennizzo crescente, direttamente proporzionale all’anzianità di servizio. Secondo le anticipazioni, nel decreto legislativo collegato, dovrebbero essere compresi questi termini: l’indennizzo dovrebbe corrispondere a una mensilità e mezzo ogni anno di lavoro, con limite a 36 mesi. Diversamente, il lavoratore potrà optare per un rimborso forfettario, corrispondente a una mensilità ogni anno, con limite a 24, in caso di contratto a tutele crescenti. Solo in questo punto, il lavoratore potrà impugnare il licenziamento, restituendo la somma.
Licenziamento disciplinare
Com’è oggi: si tratta della tipologia di licenziamenti più ricorrente, quando, cioè, il datore di lavoro preferisce interrompere il rapporto con il lavoratore a causa di lacune nel rendimento del lavoratore, e conseguente interruzione del rapporto fiduciario. Ora, in seguito alla riforma Fornero del 2012, rimangono due casi in cui viene previsto il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare. Si tratta, da una parte, della dimostrazione che il fatto di cui è accusato il dipendente non sussista, oppure quando un’eventuale sanzione al suo comportamento è già compresa a livello di contrattazione collettiva con una specifica applicazione, ad esempio una sospensione o una multa.
Come sarà: qualora si verifichi un licenziamento di questo genere, il governo ha previsto nel maxiemendamento la possibilità di ottenere un indennizzo economico inversamente proporzionale alla colpa accertata del lavoratore. Sulle tipologie di licenziamenti disciplinari che saranno sottoposte al residuo regime di tutela, si esprimerà un apposito decreto delegato, in arrivo subito dopo l’approvazione della riforma.
Vai al testo del Jobs Act approvato in Senato
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