Polemiche a non finire per la bocciatura di tutte le proposte concrete di modifica: alla fine, a risultare vincitore, seppur tra mille affanni, è il patto siglato tra il premier Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, nel famoso incontro dello scorso 18 gennaio.
In serie, infatti, tra ieri e oggi, sono stati cassati: emendamento per la parità di genere nelle liste a 50%-50%, relativa riduzione a 60%-40%, introduzione delle preferenze, sia in senso assoluto che di genere, fino alle primarie obbligatorie che, si diceva qualche settimana fa, avrebbero dovuto costituire l’anticamera ideale del nuovo sistema di rappresentanza.
Insomma, pur se in ordine sparso, con decine di franchi tiratori per via delle votazioni a scrutinio segreto, l’intesa Renzi-Berlusconi ha superato il primo ostacolo della Camera, il ramo del Parlamento per cui l’Italicum dovrebbe essere approvato. Proprio il Senato, insomma, dovrebbe licenziare, a questo punto, una legge che non lo riguarda, firmando, in sostanza, la propria condanna a morte.
In particolare, fibrillazioni intense si sono registrate nei ranghi del Partito democratico, con le deputate in prima linea per la battaglia di genere – poi fallita – e una quota fissa di possibili franchi tiratori a rendere ogni volto una roulette russa. Il no alla reintroduzione delle preferenze, punto chiave su cui il presidente del Consiglio non ha mai mostrato disponibilità al dialogo, ha rischiato di venire meno per 35 voti: un margine strettissimo per la maggioranza, visti i numeri a Montecitorio, su una modifica al testo che avrebbe potuto vanificare l’accordo tra i due leader e, dunque, le basi per la nuova legge.
Poi, un filo ancora più sottile, ieri in serata, ha permesso all’esecutivo di sventare altre modifiche, come la doppia preferenza di genere: anch’essa presentata sotto forma di emendamento, è stata bocciata per appena venti voti di scarto. A vedere le presenze in aula, con 23 tra ministri e sottosegretari nella mischia di Montecitorio a votare su indicazione del premier, si può sostenere che il governo abbia di fatto salvato l’Italicum e, forse, anche se stesso.
Un atteggiamento opposto a quello tenuto stamane, quando i rappresentanti delle varie forze si sono espressi nella dichiarazioni di voto e non uno dei membri del governo era in aula ad ascoltare le molte voci di dissenso, specialmente tra i partiti che raccolgono percentuali a una cifra.
Per quanto ancora non è dato sapere cosa accadrà a palazzo Madama, possiamo comunque enucleare alcuni punti chiave della riforma elettorale uscita dal primo passaggio alle Camere.
Soglia del 37% per il premio di maggioranza
Doppio turno con ballottaggio di coalizione per i due schieramenti più votati, se nessuno ha raggiunto il 37%
Soglia del 12% per le coalizioni
Liste bloccate
Possibilità di più candidature da parte dei capilista
Minimo dell’8% per le forze non coalizzate
Sbarramento del 4,5% per i partiti coalizzati
Delega sui collegi plurinominali assegnata al governo
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