L’indice utilizza questi tre parametri, sviluppati nel 2002 da Richard Florida, per definire il livello di creatività di una società. La tecnologia è misurata dagli investimenti in Ricerca e sviluppo e dal totale di brevetti pro capite e il talento dalla presenza di una “classe creativa” e dal grado medio di istruzione terziaria. Se è ovvio pensare che alla base della crescita ci sia lo sviluppo tecnologico e la disponibilità di talenti, molte ricerche dimostrano infatti la stretta connessione tra talento, capitale umano e progresso economico, può essere meno intuitivo il terzo indicatore: la tolleranza. Questa misura il grado di apertura mentale, quanto i cittadini reputano il proprio paese un «buon posto in cui vivere» per le minoranze etniche, religiose e per le comunità gay. La tolleranza quindi agisce sullo sviluppo economico contribuendo ad alimentare un contesto sociale aperto e disponibile al nuovo nel quale si sviluppano innovazione e talento e si attirano investimenti. Un contesto sociale nel quale le persone nella loro varietà e diversità si confrontano, si contaminano e generano idee.
Lo studio del Global Creativity Index posiziona l’Italia al 38esimo posto per tolleranza, incastonata tra Cuba, che la precede, ed il Giappone. La Nuova Zelanda è invece al primo posto. L’indice relativo alla tecnologia, che trova al primo posto la Corea del Sud, vede il nostro paese collocarsi solo alla 25esima posizione, preceduto dalla Malesia e quello relativo al talento arretrare al 31esimo posto subito dopo la Repubblica Ceca e Israele. Il primo in classifica per il talento è l’Australia che è anche al primo posto nella classifica generale del paese più creativo al mondo seguita dagli Stati Uniti e dalla Nuova Zelanda.
Dicevamo che può apparire insolito considerare la tolleranza come un indicatore di creatività, mentre è sicuramente più ovvio considerare il livello tecnologico ed il talento. Va da sé infatti che in un contesto ad elevata presenza di investimenti tecnologici, di ricerca e di brevetti con molte persone che operano in ambiti professionali creativi, l’innovazione sia un fattore di crescita determinante e decisivo per lo sviluppo economico. Ma cosa c’entra la tolleranza? In che modo l’accoglienza per la diversità può far crescere il PIL? Se pensiamo a come nasce un‘idea tutto può apparire più chiaro.
Un’idea nasce da un bisogno, dalla curiosità, da un’insoddisfazione che mette in discussione la realtà vissuta in quel momento. La domanda cruciale è: ma questo è l’unico modo per fare questa cosa? Non ne esiste un altro? Da qui il porsi la successiva domanda del “cosa posso fare allora di diverso, di nuovo, di utile?” il passo è breve. Ma questa è una domanda rivoluzionaria poiché se da un lato mette in discussione l’ovvio, dall’altro distrugge anche le certezze. A livello sociale questa domanda può cambiare il mondo. Facile a dirsi, complicata da farsi.
Difficile infatti mettere in discussione il proprio status quo, rinunciare ai privilegi, alle certezze, alle comode abitudini accumulate nel tempo. La storia è piena di esempi, il nuovo nell’arte non è certo nato nelle accademie e nelle cattedre universitarie, le scoperte e le invenzioni non hanno avuto vita facile all’inizio e l’industria le ha spesso accolte con diffidenza e con molto ritardo. Chi è già fuori da queste abitudini e non possiede questi privilegi sociali, chi vive la condizione faticosa di “diverso” può quindi più facilmente mettere in discussione l’ovvio. E’ più facile che qualcosa di nuovo accada in un contesto sociale che accoglie il diverso, dove esiste una cultura dell’innovazione e della sperimentazione, la disponibilità all’ascolto e al confronto con posizioni diverse rispetto alle nostre. Nessun muro ha mai favorito il nascere di nuove idee, l’accoglienza ed il confronto invece possono essere l’humus per la creatività del futuro.
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