IRAP: quali e cosa sapere sulle diverse categorie di contribuenti

di Maurizio Villani e Idalisa Lamorgese

L’Irap, (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), introdotta e disciplinata dal D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 è un’imposta:
– locale, in quanto è applicabile alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna Regione, alla quale in gran parte è riservato il gettito della stessa (art. 15 D. Lgs. n. 446/1997: “L’imposta è dovuta alla regione nel cui territorio il valore della produzione netta è realizzato”);
– reale, in quanto prende in esame non il soggetto di imposta ma le tipologie di attività esercitate dallo stesso, produttive di capacità contributiva (art. 1, comma 2, D. Lgs. n.446/1997: “L’imposta ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi”);
– indeducibile dalla base imponibile delle imposte sui redditi per tutti i soggetti d’imposta (art. 1, comma 2, D. Lgs. n.446/1997: “L’imposta ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi”).

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Il presupposto dell’Irap

In forza dell’art. 2 del D. Lgs. n. 446/1997 il presupposto impositivo dell’Irap è individuato nell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.

Pertanto, a differenza di altri tributi, il presupposto dell’imposta non è fondato su una capacità contributiva, ma sulla semplice presenza di un’attività “autonomamente organizzata” diretta a produrre o scambiare beni, ovvero a produrre e prestare servizi, in modo abituale.

Di conseguenza, i requisiti, ritenuti essenziali da parte del legislatore nel definire il presupposto dell’imposta, sono:
– l’abitualità: l’esercizio dell’attività deve essere svolto con regolarità, stabilità e sistematicità;
– l’autonoma organizzazione: l’attività deve essere posta in essere impiegando dei fattori che, sapientemente organizzati tra loro, riescano a far pervenire a un valore aggiunto, ossia, a un quid pluris che, per quanto minimo, è soggetto a imposta.

Si fa presente che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016), ha introdotto con l’art. 1, comma 125, all’interno dell’art. 2 del D. Lgs. n. 446/1997, il comma 1-bis, in base al quale “Non sussiste autonoma organizzazione ai fini dell’imposta nel caso di medici che abbiano sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione all’interno di tali strutture, laddove gli stessi percepiscano per l’attività svolta presso le medesime strutture più del 75 per cento del proprio reddito complessivo.

Sono in ogni caso irrilevanti, ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione, l’ammontare del reddito realizzato e le spese direttamente connesse all’attività svolta. L’esistenza dell’autonoma organizzazione è comunque configurabile in presenza di elementi che superano lo standard e i parametri previsti dalla convenzione con il Servizio sanitario nazionale”.

A parte quanto previsto per i medici, la definizione dei criteri oggettivi, siano essi quantitativi o qualitativi, relativi ad altri professionisti o imprenditori non ha ancora visto la luce.
Anzi, il legislatore non ha dato attuazione all’art. 11 della legge 11 marzo 2014, n. 23, con la quale il governo tra l’altro era stato delegato a emanare norme volte a “chiarire la definizione dei criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive”.

Così, in assenza di interventi legislativi, la giurisprudenza ha delineato il concetto di “autonoma organizzazione”.

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Maurizio Villani

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