Il contratto preliminare, come è noto, è il più importante negozio giuridico preparatorio, ancorché non definito dal legislatore, il quale dedica allo stesso poche disposizioni, riguardanti la forma (1351 c.c.) che deve essere scritta, la esecuzione coattiva dell’obbligo di concludere il contratto, quando una delle parti è inadempiente alla promessa (art. 2932 c.c.), e la possibilità di essere trascritto (2645 bis c.c.). Quanto alla natura giuridica, la tesi prevalente è quella secondo cui il preliminare costituirebbe allo stesso tempo promessa di consensi e di prestazioni. In questo senso illuminante appare Cass. S.U. 18.05.2006 n. 11624, secondo cui “il contratto preliminare non è più visto come un pacto de contrahendo ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il definitivo, sicché il suo oggetto è non solo e non tanto un facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti ed al contenuto, ma anche e soprattutto un sia pure futuro dare: la trasmissione della proprietà che costituisce il risultato pratico avuto di mira dai contraenti”. La particolare natura del contratto preliminare, cui si riconducono effetti obbligatori, determina un trattamento diverso, rispetto al contratto definitivo cui è funzionalmente preordinato, per quanto riguarda le garanzie che la legge appresta in presenza di vizi, vuoi anche di natura urbanistica,della cosa promessa in vendita.
B)DEDUCIBILITÀ DEI VIZI REDIBITORI ED ESTIMATORI NELL’AMBITO DEL CONTRATTO PRELIMINARE Orbene, è noto che i vizi redibitori (art. 1490 c.c.), cui si avvicinano la mancanza delle qualità promesse o essenziali (c.d. estimatori), per presupporre entrambi l’apparte- !1 nenza della cosa al genere pattuito, sono quelli che riguardano le imperfezioni ed alterazioni materiali della cosa stessa, che ne compromettono l’idoneità all’uso cui è destinata o ne diminuiscono il valore, a differenza della mancanza delle qualità (1497 c.c.) ossia di quegli elementi che sostanzialmente esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio del bene, influendo sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra (v. ex multis Cass. 29.04.2010 n. 10285; Cass. 26.09.2013 n. 22113, in dottrina Galgano, Vendita, in Enc. del diritto, Milano 1993 pag. 493; Commentario Civile Scialoja – Branca, Bologna 1989 n. 229). L’azione per far valere i vizi redibitori ed estimatori è soggetta, come è altrettanto noto, a stringenti termini di decadenza (otto giorni dalla scoperta) e di prescrizione (un anno dalla consegna). Tuttavia tale termine decorre dalla stipula del contratto definitivo. Infatti, come ha chiarito più volte la Cassazione, da ultimo con sentenza 16.02.2015 n. 3029, in caso di preliminare di vendita non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta in quanto il preliminare non consente la traslazione del diritto ancorché prima della stipula del definitivo, la presenza dei vizi della cosa consegnata abilita il promittente acquirente ad opporre l’eccezione di inadempimento così consentendo di chiedere al promittente venditore, che gli chiede di adempiere alla stipula del contratto definitivo, la risoluzione del preliminare o la condanna ed eliminazione dei vizi. In buona sostanza, in caso di contratto preliminare l’anticipata immissione nel possesso del bene non fa decorrere il termine per l’eccezione dei vizi pur essendo il promittente acquirente abilitato ad opporre l’excptio inadempleti contractus, con le conseguenti azioni di cui sopra si è detto. Detta affermazione ribadisce un principio già espresso dalla Cassazione (v. ad esempio Cass. 31/07/2006 n. 17304; Cass 24.06.2013 n. 15783; Cass. 11.10.2013 n. 23163), la quale ha avuto modo di chiarire che il promittente acquirente ha anche la possibilità, in presenza di vizi della cosa, di chiedere l’adempimento in forma specifica ex art. 2932 c.c. agendo contemporaneamente con l’azione “quanti minoris” per la diminuzione del corrispettivo senza che a detta facoltà possa essere opposta la de- !2 cadenza o la prescrizione della garanzia, che presuppongono il perfezionamento della vendita (Cass. 26.01.2010 n. 1562; Cass. 17.06.2013 n. 15098). Non dissimile è la disciplina nelle ipotesi in cui l’immobile, oggetto del preliminare, presenti altri tipi di vizi più propriamente riguardanti una condizione di irregolarità urbanistica, ancorché le vicende legate a tale criticità appaiono essere più articolate in quanto l’ordinamento, in tali casi, interviene sanzionato la nullità del contratto (solo del definitivo o anche del c.d. compromesso? ), nei casi espressamente stabiliti ed a determinate condizioni che saranno di seguito approfondite.
C)LA CONDIZIONE DI IRREGOLARITÀ URBANISTICA DEL BENE IMMOBILE ABUSIVO. Ma quali sono le irregolarità urbanistiche? Sono da considerarsi abusive tutte le opere prive della prescritta concessione edilizia (ora permesso a costruire), ovvero totalmente o parzialmente difformi o con varianti essenziali rispetto ad una od altra autorizzazione edilizia. In particolare si considerano costruite: a) senza concessione, le opere eseguite prima dell’ottenimento di detto provvedimento o dopo il suo annullamento; b) in totale sua difformità, le opere realizzanti manufatti completamente diversi da quelli assentiti nonché maggiori volumi rispetto al progetto autorizzato e variazioni essenziali rispetto a quello approvato su immobili vincolati per ragioni storiche, artistiche, architettoniche, archeologiche e paesaggistiche o rientranti in parchi o zone protette, statali o regionali; c) in parziale difformità, le opere solo parzialmente conformi alle varie prescrizioni vigenti (esempio un immobile di altezza confacente ma di larghezza difforme); d) con variazioni essenziali le opere realizzate senza rispettare le classificazioni regionali di cui all’art. 8 L. 47/1985. La precisazione è importante in quanto determinante le sorti del contratto (definitivo o preliminare) avente ad oggetto un immobile abusivo, senza considerare le conseguenze sul piano amministrativo (ordine sindacale di demolizione e di ripristino) e penali (irrogazione di pene pecuniarie e detentive da parte dell’Autorità Giudiziaria !3 competente), che però esulano dal tema oggetto del presente approfondimento ricordando, peraltro, che il manufatto difforme dalla relativa concessione, ma rispettoso dalle vigenti prescrizioni urbanistiche, potrebbe essere sanato “recuperando” per così dire un contratto destinato ad essere dichiarato nullo come vedremo.
D) LE INTERFERENZE DELLA DISCIPLINA URBANISTICA SULLA CIRCOLAZIONE DEI BENI. NULLITÀ SOSTANZIALE E FORMALE. Prima di affrontare detta problematica, è bene esaminare la natura della dedotta nullità che che rappresenta un tema molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza, soprattutto laddove si debba tracciare il confine tra le categorie della invalidità (sostanziale o formale) dell’atto e quelle dell’inadempimento; in altro senso quando si debba individuare a quali irregolarità di quelle sopradescritte debba ricondursi la incommerciabilità del bene. L’ultima legge in ordine di tempo, il TU dell’Edilizia (DPR 06/06/2001 n° 380) prevede all’art. 46 1° comma che (sostanzialmente riproduce l’art. 17 della L. 47/1985), per quanto qui interessa, “che gli atti tra vivi sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti resti relativa ad edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo il 17/03/1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso a costruire, del permesso in sanatoria (o della denuncia di inizio attività ex comma 5 bis della norma in esame) 2. Il quarto comma della stessa disposizione prevede che, nella ipotesi in cui la mancata indicazione in atto degli estremi suddetti non sia dipesa dalla insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola parte mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa. Le suddette prescrizioni hanno provocato un acceso dibattito tra gli operatori del diritto, tendenzialmente portati ad accreditare la tesi della nullità formale, suggerita dalla formula utilizzata dal legislatore, purtuttavia sottoposte a critica dai fautori della nullità sostanziale (che trova maggiore consenso in dottrina) i quali interpretano la !4 norma nel senso che essa richiederebbe anche la “sostanziale” verità delle dichiarazioni (o menzioni) urbanistiche consistenti nella indicazione degli estremi del permesso a costruire o di quello in sanatoria. Come già accennato la giurisprudenza predilige la concezione della invalidità formale che colpisce non già gli atti di cessione dei fabbricati abusivi come tali ma soltanto quelli mancanti delle prescritte attestazioni. In buona sostanza, sono da considerarsi affetti da nullità, di carattere assoluto (quindi rilevabili di ufficio e deducibili da chiunque vi abbia interesse) tutti quegli atti di trasferimento (a) in cui difetta l’allegazione, per i terreni, del certificato di destinazione urbanistica e, per gli edifici, l’indicazione degli estremi della concessione o permesso a costruire ovvero, in mancanza, (b) in cui difetta la allegazione della domanda in sanatoria, corredata dalla prova dell’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia, senza che vi sia bisogno di interrogarsi sulla reale esistenza della stessa (v. ex multis Cass. 08/02/1997 n° 1199; Cass. 17/08/1999 n° 8685; Cass. 15/06/2000 n° 8147; Cass. 24/03/2004 n° 5898; Cass. 05/07/2013 n° 16876; Cass. 13/03/2015 n° 5102). Non è, quindi, importante l’accertamento della condizione del bene ma la verifica della esistenza o meno di una carenza documentale che, per i fabbricati prima del 1967, non viene richiesta poiché liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso commesso dall’alienante, a condizione però che nel negozio risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro soggetto avente titolo, attestante l’inizio dell’opera entro tale data (cfr Cass. 20/03/2006 n° 6162). Secondo l’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, in tale contesto il legislatore – invero ispirato dall’obiettivo di reprimere e scoraggiare gli abusi edilizi con l’abbandono della prospettiva, ricavabile dalla L. 10/77, incentrata sulla tutela del contraente in buona fede laddove ivi era previsto la deducibilità solo ad opera di questi se ed in quanto ignaro della violazione edilizia – avrebbe in pratica dissociato la regolarità urbanistica del fabbricato dalla validità del negozio di trasferimento laddove, come accennato, è previsto essere sufficiente, ai !5 fini della validità del negozio, la indicazione delle c.d. “menzioni” senza che la loro eventuale mendacità possa pregiudicare la validità dell’atto. Secondo l’opposta ricostruzione della natura “sostanziale”, prevalente in dottrina (v. ad es. ALPA, CATAUDELLA) e condivisa anche da un importante organismo come il Consiglio Nazionale del Notariato, viene giustamente evidenziato che gli estremi della concessione edilizia necessaria per edificare o della concessione in sanatoria sono forniti dall’alienante senza alcun obbligo di controllo né da parte dello acquirente né dal Notaio, essendo sufficiente la relativa dichiarazione da parte di chi vende. Purtuttavia tali dichiarazioni di per sé non sarebbero sufficienti a sorreggere la validità dell’atto che potrebbe rilevarsi nullo una volta accertata la falsità delle dichiarazioni stesse. Non può non rilevarsi come tale conclusione sia del tutto ragionevole considerato che le c.d. “menzioni” non possono essere altro che il mezzo per formalizzare nel negozio traslativo la sussistenza del titolo abilitativo ma non a legittimare la circolazione del bene se esso non corrisponde a verità. In altro senso quest’ultima sarebbe pur sempre possibile se ed in quanto la dichiarazione rispecchi la sostanziale conformità, alla disciplina urbanistica, del bene oggetto di vendita. L’orientamento formalistico si trova affermato anche nella giurisprudenza amministrativa (v., ex multis, CdS 10/01/2014 n° 46). Il c.d. orientamento sostanzialistico ha trovato recentemente sempre più sostenitori nella giurisprudenza di merito e di legittimità, a cominciare dalla sentenza della Cassazione del 17/10/2013 n° 23591, la quale ha evidenziato il carattere sostanziale della nullità derivante dalla violazione della normativa urbanistica, tale cioè da determinare la invalidità del contratto di vendita di un immobile non in regola con le disposizioni urbanistiche e ciò anche se in atto siano indicati gli estremi dei relativi titoli abilitativi edilizi. Tale diversa impostazione è stata resa evidente dalla considerazione che “se lo scopo del legislatore è quello di rendere incommerciabili gli immobili urbanisticamente irregolari esso risulterebbe frustrato dalla rilevanza meramente formale poiché, limitando a quest’ultimo ambito la sanzione della nullità, si rimetterebbe alla disciplina !6 dei privati la scelta degli strumenti di reazione che non potrebbero che essere rintracciati nella disciplina dell’inadempimento (in questo senso vedasi anche Cass. 17/12/2013 n° 28194).
Riassumendo, si può affermare quanto segue. a)Nelle ipotesi in cui all’atto di trasferimento non siano riportate le indicazioni prescritte ma il titolo edilizio sussista, opererebbe la nullità formale ex art 46, 1° co. T.U. Edilizia, a tutela del diritto dell’acquirente di avere adeguata informazione sulla situazione urbanistica del bene acquistato, invero sanabile successivamente attraverso atto separato che contenga le c.d. menzioni omesse. b)Nella ipotesi di effettiva mancanza del titolo edilizio abilitativo l’atto non sarebbe affetto dalla nullità documentale (formale) suddetta in quanto nessuna indicazione potrebbe essere imposta in mancanza di detto titolo.Lo stesso vale per quanto riguarda la indicazione nell’atto di trasferimento delle menzioni prescritte ma contrariamente al vero, stante il carattere insanabilmente abusivo del bene. In entrambe le ipotesi il negozio sarebbe affetto da una nullità sostanziale che la dottrina riconduce alle ipotesi fondate nella generale disciplina di cui agli art. 1418 2° co. CC e 1346 CC., ossia su una causa autonoma e concettualmente precedente. L’atto in effetti conterrebbe un oggetto illecito (cioè un trasferimento illecito) per contrarietà a norme imperative che impongono per la negoziabilità la sussistenza del titolo abilitativo richiesto ovvero un oggetto giuridicamente impossibile poiché riguardante una cosa incommerciabile perché urbanisticamente irregolare. !7
E)LE IRREGOLARITÀ URBANISTICHE CHE DETERMINANO LA NULLITÀ DEL NEGOZIO GIURIDICO. DISCIPLINA APPLICABILE PER LE IPOTESI DI DIFFORMITÀ PARZIALE. Come già anticipato il grado di difformità tra il titolo abilitativo e l’opera realizzata si riconnette alle ipotesi delle irregolarità di maggiore intensità consistenti cioè propriamente nella totale assenza del titolo, nella totale o parziale difformità ed infine nelle variazioni essenziali: ma la giurisprudenza e la dottrina (N.B.) tendono a ricondurre la sanzione della nullità per incommerciabilità del bene ai casi di assenza del titolo abilitativo o totale difformità da esso. Quindi, non sarà ogni irregolarità minima a determinare l’invalidità del negozio dispositivo ma solo quella che si traduce in una non riferibilità del provvedimento abilitativo al bene negoziato. In particolare, nella categoria della totale difformità rientrerebbero (v. Cass. Penale 05/06/1986 n° 4918) le ipotesi in cui venga realizzato un organismo edilizio integralmente diverso da quello previsto per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione. In questo senso vedasi anche Cass. 31/01/2011 n° 2187 (in tema di appalto) secondo cui l’opera deve essere equiparata a quella costruita in assenza di concessione comportando la nullità del contratto per illiceità dell’oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che una diversa “intensità” dell’irregolarità edilizia escluderebbe la nullità del negozio per ricondurre la tutela, garantita all’acquirente, nell’area dell’inadempimento contrattuale. Mette conto di rilevare, a tale ultimo riguardo, che la normativa che appare evocabile possa essere quella di cui all’art. 1489 CC (per l’ipotesi della cosa gravata da oneri) nonché quella di cui al combinato disposto degli art. 1480 e 1484 CC (per l’ipotesi di evizione parziale). Sul punto la Cassazione (v. ex multis 28/02/2007 n° 4786) ha ritenuto che “in ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità dalla licenza edilizia non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del !8 bene, ma trova applicazione l’art. 1489 CC in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto e, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto ed, altresì, persista il potere repressivo della P.A.”. In buona sostanza, mentre il vizio di cui all’art. 1490 c.c. costituisce, come sopra ricordato, una imperfezione materiale della cosa che incide sulla sua utilizzabilità o sul suo valore, l’onere cui fa riferimento l’art. 1489 c.c. è concetto più ampio tanto da ricomprendere nel suo ambito, come rileva autorevole dottrina (Messineo) “tutti quei vincoli che derivano o possono derivare da limitazioni di materia privatistica o pubblicistica al godimento del bene”. In questo senso permettendo una tutela del compratore a fronte di qualsivoglia peso – non apparente e/o non dichiarato nel contratto di vendita – che (come precisa la dottrina – v. ad es. Bianca) comporti “una inesattezza giuridica dell’attribuzione traslativa”. Per quelle irregolarità che non comportino nullità del contratto, si potrebbe ipotizzare dunque la sussistenza della fattispecie proprio prevista dall’art. 1489 c.c. secondo cui “se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti, che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo le disposizioni dell’art. 1480 c.c. Nel pratico, si tratterebbe di irregolarità ovviamente non riconducibili alla assenza del titolo abilitativo o di realizzazione di un’opera totalmente difforme dallo stesso (che come visto comportano le nullità del negozio) ma comunque di difformità rilevanti tanto da poter limitare il diritto dell’acquirente di godere del bene o la sua facoltà di disporre dello stesso, valendo al riguardo i principi dell’ordinamento in ordine alla importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. A tal riguardo, appare utile richiamare le fattispecie concretamente esaminate dalla giurisprudenza per “definire” il significato di “rilevanza” delle difformità in questione. Così, a titolo di esempio, è stato ritenuto dalla Cassazione 23.10.91 n. 11218 che in ipotesi di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia (nella specie !9 trasformazione di una soffitta in locali abitabili) “non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l’art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, semprechè detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o comunque non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto ed altresì sia previsto il potere repressivo della p.a. (adozione di sanzione o ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell’immobile; nel concorso di tali condizioni, pertanto, deve riconoscersi all’acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo, ancorché l’amministrazione non abbia ancora esercitato detto potere repressivo (salvo restando, per il caso in cui venga impartito ed eseguito l’ordine di demolizione, l’operatività della disposizione degli artt. 1483 e 1484 circa l’evizione totale o parziale)”. Sul solco tracciato dalla citata sentenza si è posta la giurisprudenza successiva citandosi, ad esempio, Trib. Bologna 04/04/2012 n° 978 Guida al diritto 2012, 26; Corte di Appello di Roma 12/05/2011 n° 2101 in Guida al diritto 2011, 12; Tribunale Firenze 29/04/2014 in Redazione Giuffrè 2014; Cass. 28/02/2007 n° 4786; Cass 28/06/2012 n ° 10947; Cass. 28/11/2014 n° 25357). Sul punto vi è anche da dire, come accennato da Cass. 11218/1991 (citata), che la irregolarità edilizia appare essere anche in grado di evocare la fattispecie prevista dal combinato disposto dagli art. 1480 e 1484 CC cioè quella riferita alla evizione parziale laddove stipulato il contratto di vendita la sanzione amministrativa o giudiziale per la difformità urbanistica si concretizzi in un ordine di parziale demolizione del bene (come ad esempio l’aumento di cubatura del manufatto con la realizzazione di un altro vano adiacente non assentito sul permesso a costruire).
F) CONTRATTO PRELIMINARE DI IMMOBILE ABUSIVO – INVALIDITÀ – CONDIZIONI A questo punto, avviandoci a conclusione occorre ragionare per quali categorie di negozi giuridici si pone il problema della nullità formale e sostanziale, e se in particolare, nell’ambito del tema qui sviluppato, la disciplina suddetta trovi applicazione in ipotesi di contratto preliminare. !10 Orbene la giurisprudenza è stata sempre dell’avviso che la disciplina degli artt. 17 e 40 della L. 47/85 prima e l’art. 46 del T.U. Edilizia, poi, dovesse applicarsi solo ai contratti con effetti traslativi e non anche al contratto preliminare. Ciò si desumerebbe dal tenore letterale delle norme suddette e dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi o essere prodotta la dichiarazione normativamente prevista, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 01/09/1967, con la conseguenza che in queste ipotesi rimane esclusa la nullità per il successivo definitivo di vendita, ovvero si può dar luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 CC. In questo senso vedasi:Cass. 18/07/2011 n° 15734 ma uguale principio è affermato in altre decisioni citandosi a titolo meramente esemplificativo: Cass. 28/05/2010 n° 13117; Cass. 24/04/2007 n° 9849; Cass. 30/11/2007 n° 25050; Cass. 11/07/2005 n° 14489; Cass. 04/01/2002 n° 59; Cass. 17/06/1998 n° 6018. Da ultimo vedasi Cass. 07/04/2014 n° 8089; Cass. 05/07/2013 n° 16876 (che in particolare privilegia l’aspetto formale della nullità). Corollario di tale principio è la ulteriore affermazione secondo cui non è necessario allegare il certificato di destinazione urbanistica ai contratti preliminari di trasferimento dei terreni (Cass. 24/09/2009 n° 20614 e Cass. 21/09/2011 n° 19219), al contrario prescritta a pena di nullità ex art. 18 L. 47/1985 in difetto di allegazione, per i contratti ad effetti reali (v. anche la già citata Cass. 13/03/2015 n° 5102). Questa la situazione fino al 2013, allorché si assiste ad una nuova tappa della vicenda giurisprudenziale, assolutamente importante in quanto in due “storiche” sentenze (del 17/12/2013 n° 28194 e 27/10/2013 n° 23591) la Cassazione, cogliendo l’occasione per esplicitare la propria disapprovazione nei confronti dello inquadramento formale della nullità in questione e stigmatizzando l’incoerenza rispetto alla pur equivoca lettera della legge, afferma il principio secondo cui “il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo per la comminatoria di cui all’art. 40, secondo comma, della L. 28/02/1985 n° 47 che, sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, !11 in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norme imperative”. Dopo le due sentenze appena ricordate è stata pubblicata altra decisione (19/12/2013 n° 28456) in cui è stato riaffermata la tesi circa la applicazione della nullità ai soli contratti definitivi di tal chè non può non auspicarsi un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Al di là della disputa appena evidenziata rimane il problema della esatta identificazione delle irregolarità urbanistiche idonee a determinare la nullità del negozio per la relativa incommerciabilità. Valgano qui le superiori considerazioni che è bene integrare con quanto affermato dalla recente sentenza della Cassazione 07/04/2014 n° 8081 per cui le ipotesi di nullità riguarda non solo i casi di assenza del titolo abilitativo ma anche quando sia stato realizzato un organismo edilizio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche o di realizzazione di volumi non assentiti (art. 8 L. 47/1985) da quello per cui la concessione è stata rilasciata. Non comporterebbe nullità l’ipotesi di variazione parziale (art. 12 L. 47/1985) quando cioè la modifica concerne parti non essenziali del progetto. Si richiama a tal riguardo la giurisprudenza del Consiglio di Stato che assume esservi “variante essenziale quando le modifiche al progetto assentito riguardano la sagoma, la superficie coperta, la struttura interna e la destinazione dell’edificio “mentre” la parziale rilocalizzazione …….. attuata con una parziale traslazione e rotazione dello stesso rispetto all’utilizzazione originaria di progetto è una mera variante minore e non una vicenda che giustifichi la emanazione di una nuova concessione” (Cds 22/01/2003 n° 249). Per Cass. Pen. 06/05/2014 n° 18709 “la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo, sia alla effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l’aumento del c.d. carico urbanistico. Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d’uso di un immobile o parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto. Il riferimento alla “autonoma utilizzabi- !12 lità”, secondo detta decisione, non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall’organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato. La difformità totale si verifica …….. allorché i lavori eseguiti tendono a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale”. All’aumento consistente di cubatura, a modifiche sostanziali di parametri urbanistici, ad un mutamento delle caratteristiche dell’intervento fanno riferimento numerose sentenze della giurisprudenza amministrativa segnalandosi, ex multis, TAR Catanzaro 09/06/2010 n° 1067, TAR Napoli 10/04/2013 n° 1903, TAR Napoli 04/07/2013 n° 3472; TAR Milano 18/06/2010 n° 2107. In definitiva, la c.d. soglia della parziale difformità costituisce un limite alla commerciabilità del bene il cui superamento renderebbe certamente nullo il negozio di trasferimento, precludendo in questo senso la emanazione della sentenza costitutiva ex art. 2932 CC in presenza del preliminare (v. Cass. 18/09/2009 n° 20258, Cass. 07/01/2010 n° 52; Cass. 15/03/2012 n° 3892 ma anche Cass. 07/04/2014 n° 8081 già citata). Ma anche quest’ultimo sarebbe nullo, secondo le logiche conclusioni delle due sentenze della S.C. appena citate. In caso di mancato superamento della c.d. soglia, viceversa, lo sbocco sarebbe costituito dall’inadempimento che consente al promittente acquirente di chiedere, disgiuntamente o congiuntamente rispetto all’azione ex art. 2932 CC, l’eliminazione dei vizi oppure la riduzione del prezzo , in cui la pronuncia del Giudice in tale ipotesi assume la funzione di un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte posizioni, rivolto ad assicurare che l’interesse del promittente acquirente alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente venditore” (così, Cass. 26/01/2010 n° 1562). In ogni caso, rimanendo nel campo del preliminare, a fronte di una irregolarità urbanistica tanto grave, come può essere l’assenza di permesso a costruire (o l’equiparata difformità totale) potrebbe configurarsi una ipotesi di nullità ricavabile dal combina- !13 to disposto dagli art. 1346 e 1418 CC, attesa l’impossibilità giuridica dell’oggetto, se non è proprio quella specifica del TU Edilizia , tale da giustificare legittimamente il rifiuto del promittente acquirente alla conclusione dell’atto definitivo di compravendita (Cass. 04/12/2006 n° 25703). In tal caso, sarebbe irrilevante lo stato soggettivo di buona fede o malafede dell’interessato essendo impossibile dare esecuzione ad un contratto che non può essere stipulato per il mancato rilascio della concessione edilizia, con la conseguenza poi che il promittente acquirente sarebbe legittimato a richiedere al promittente venditore la restituzione della caparra che abbia eventualmente versato in occasione del preliminare atteggiandosi la ritenzione di questa priva di titolo (in questi termini, v. Cass. 28/02/2013 n° 5033). Cerveteri 20.04.2015 Avv. Antonio Arseni
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