Maternità: quando la lavoratrice può dire no al trasferimento

Redazione 29/07/16
Sul posto di lavoro, la tutela della parità di diritti tra uomo e donna viene estesa anche all’eventuale trasferimento della lavoratrice neomamma in una filiale lontana da quella in cui lavorava in precedenza.

Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 15435 del 26 luglio 2016 ha stabilito che il licenziamento della dipendente sulla base del rifiuto del trasferimento è illegittimo.

Leggi qui la sentenza n. 15435/2016.

Quando la lavoratrice può rifiutare il trasferimento

La Corte si è pronunciata su un caso riguardante una dipendente licenziata dall’azienda nella quale lavorava poco dopo il termine dell’astensione dal lavoro per maternità. La donna, che era stata assente dal lavoro per un 1 e 4 mesi, al rientro era stata immediatamente trasferita in un’altra filiale della società posta ad oltre 150 chilometri da quella nella quale lavorava.

L’azienda, di fronte al rifiuto della dipendente di trasferirsi, aveva risposto prima con una sanzione disciplinare e poi con il licenziamento. La donna si era rivolta alla giustizia, ma il Tribunale di primo grado aveva inizialmente dato ragione all’azienda.

Lavoratrici e maternità: quando c’è discriminazione

Al contrario, i giudici della Corte d’Appello avevano sentenziato in favore della donna, rilevando “un disegno discriminatorio nei confronti della lavoratrice madre”. Infatti, la lavoratrice in questione era stata licenziata dopo soli 3 giorni dall’inoperatività del divieto di cui all’art. 56 del decreto legislativo n. 151/2001, e secondo l’Appello l’azienda non era riuscita a provare l’assenza di motivi discriminatori.

La Corte di Cassazione, pertanto, con sentenza del 26 luglio 2016, ha confermato quanto espresso dalla Corte d’Appello e respinto il ricorso dell’azienda. Gli Ermellini hanno, infatti, ritenuto che i giudici d’appello avevano correttamente valutato la situazione quando avevano sentenziato che “la sede di appartenenza non appariva necessitare di una riduzione di personale” e che la dimostrazione dell’affermato calo di vendite “era stata affidata a meri prospetti riassuntivi predisposti dallo stesso datore di lavoro”.

In Cassazione è stato perciò confermato che, nel caso in cui il licenziamento di una madre possa essere ragionevolmente attribuibile a motivi discriminatori, spetta all’azienda provare l’insussistenza di tali fattori.

Quando il licenziamento è illegittimo

Madri lavoratrici

Ad oggi, in Italia, la legge tutela le lavoratrici madri o in gravidanza. E’ vietato il licenziamento di una dipendente dal momento di inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Per convenzione, il momento di inizio della gravidanza si presume essere 300 giorni prima del parto.

Inoltre, la madre non può essere licenziata se usufruisce dell’astensione del lavoro in caso di malattia del bambino.

Padri lavoratori

In maniera analoga, non si può licenziare il padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità fino al compimento di un anno di età del figlio.

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