Inidoneità al lavoro accertata: cosa significa e succede a dipendente e datore di lavoro

Paolo Ballanti 08/08/24
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La mansione attribuita al dipendente in sede di assunzione è legata, non solo alle precedenti esperienze lavorative o alla formazione scolastica o extra-scolastica ma, altresì, alle condizioni psico-fisiche della persona: in questo contesto si inseriscono idoneità o inidoneità al lavoro.

Per questo, a fronte di eventi che impattano sullo stato di salute del dipendente può emergere una condizione dichiarata di inabilità al lavoro.
Cosa significa questa espressione e quali conseguenze ci sono per il dipendente e il datore di lavoro?

Analizziamo la questione in dettaglio.

Indice

Cosa significa inidoneità al lavoro

Nella vita di una persona può accadere che, a causa di una serie di eventi professionali o extra-professionali come, ad esempio, l’infortunio o la malattia, si manifesti uno stato di inabilità allo svolgimento delle mansioni attribuite in sede di assunzione o successivamente modificate.

Chi accerta l’idoneità al lavoro

I soggetti deputati ad accertare l’inidoneità sopravvenuta sono il medico competente (imposto dalla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro). La sorveglianza sanitaria, di cui al decreto n.81 del 2008, serve ad accertare l’idoneità del dipendente alla mansione.

In sostanza, nel corso della visita medica aziendale, il medico può stabilire che il dipendente non sia idoneo a svolgere la mansione lavorativa assegnatagli.

La visita del medico competente, di accertamento dell’idoneità lavorativa, di solito viene effettuata:

– preventivamente, prima dell’avvio dell’attività lavorativa;
– periodicamente, con una frequenza minima;
– al cambio di mansione, se la nuova mansione comporta l’obbligo di sorveglianza sanitaria;
– su richiesta del dipendente, che può inoltre informare il medico di eventuali cambi del suo stato di salute.

Allegato

Decreto 81/2008 Sicurezza sul lavoro

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Inidoneità al lavoro accertata: cosa succede

A seguito dell’accertato stato di inidoneità alla mansione, verificato dalle strutture sanitarie competenti, l’azienda è tenuta a adibire l’interessato a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori purché compatibili con le nuove condizioni psico-fisiche.

In questi casi il dipendente conserva il più favorevole trattamento economico corrispondente alle mansioni di provenienza.

Se risulta impossibile adibire il dipendente ad altre mansioni, compatibili con il suo stato di salute, il datore di lavoro può valutare di risolvere il contratto, ricorrendo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Inidoneità al lavoro: il dipendente può temporaneamente riprendere l’attività?

Nel momento in cui viene accertata l’inidoneità al lavoro, il dipendente non può in alcun modo riprendere (nemmeno temporaneamente) lo svolgimento delle mansioni per le quali è stato giudicato inidoneo.

Di conseguenza, il datore di lavoro è chiamato a prendere una decisione rapida tra l’adibizione a mansioni diverse o il licenziamento. Nel frattempo, in mancanza di un certificato di malattia presentato dal dipendente e trasmesso in via telematica dal medico all’Inps, idoneo pertanto a giustificare l’assenza dal lavoro, è possibile ricorrere a ferie e / o permessi.

Inidoneità al lavoro: quando si rischia il licenziamento?

La sopravvenuta inidoneità al lavoro permanente o la cui durata sia in ogni caso indeterminata o indeterminabile, per ragioni che non dipendono dall’attività lavorativa svolta, può costituire un giustificato motivo oggettivo (GMO) per interrompere il contratto.

In situazioni simili ricorre infatti un’impossibilità sopravvenuta della prestazione, legata a un’accertata inidoneità (anche soltanto parziale) a svolgere le mansioni assegnate.

Il datore di lavoro deve rispettare il periodo di comporto?

Il licenziamento per sopravvenuta impossibilità della prestazione non è legato al superamento del periodo di comporto. Pertanto, il datore di lavoro, ricorrendo le condizioni che tra poco descriveremo in dettaglio, può procedere alla risoluzione del rapporto prima che sia superato il comporto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato.

Quando è legittimo licenziare il dipendente inabile al lavoro

La giurisprudenza di Cassazione ha consentito nel tempo di fissare i requisiti che rendono il licenziamento legittimo, in particolare:

– stato di malattia del lavoratore tale da non consentire una prognosi definitiva di durata;
– assenza di un apprezzabile interesse dell’azienda alle prestazioni lavorative del dipendente;
– impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, anche se inferiori, purché compatibili con il nuovo stato di salute.

Da notare che, con riguardo a quest’ultimo aspetto, l’assegnazione del dipendente a mansioni diverse deve necessariamente avvenire senza modifiche o alterazioni dell’assetto organizzativo dell’azienda.

Inoltre, spetta al datore di lavoro provare l’impossibilità di ricollocare il dipendente a mansioni diverse, mentre al dipendente fa capo l’onere di allegare la nuova possibilità di lavoro.

Il dipendente recupera le condizioni psico-fisiche: cosa succede

Il lavoratore licenziato che successivamente recupera le condizioni psico-fisiche pregresse e, di conseguenza, risulta di nuovo idoneo alla mansione non può contestare il licenziamento, dal momento che le condizioni di legittimità dell’atto devono essere valutate al momento dell’intimazione del recesso.

Il datore di lavoro deve rispettare il preavviso?

Il licenziamento per GMO, determinato dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione, dev’essere intimato al dipendente nel rispetto del periodo di preavviso, definito dalla contrattazione collettiva in base al livello di inquadramento e all’anzianità di servizio del dipendente a tempo indeterminato.

Il datore di lavoro che non rispetta il preavviso (da intendersi come il lasso temporale tra la data di comunicazione del licenziamento al dipendente e l’ultimo giorno di vigenza del contratto) è tenuto a riconoscere in busta paga un importo a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.

Quest’ultima somma è calcolata in misura pari alla retribuzione che sarebbe al dipendente se il preavviso fosse stato rispettato.

Il dipendente licenziato può chiedere la Naspi

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo rappresenta un’ipotesi di perdita involontaria del lavoro e, in quanto tale, legittima il dipendente a inoltrare all’Inps domanda telematica per accedere al sussidio mensile Naspi.

La domanda di Naspi 2024 dev’essere trasmessa all’Inps collegandosi all’apposita piattaforma online, disponibile sul portale dell’Istituto, accedendo con le credenziali SPID, CIE o CNS.

Leggi qui > Come fare domanda di Naspi

In aggiunta allo stato di disoccupazione, l’interessato può ottenere la prestazione se ha totalizzato almeno tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio della disoccupazione.

La NASpI rappresenta comunque un sostegno temporaneo per il dipendente, posto che viene garantita per un numero di mesi pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, nel rispetto comunque di un tetto di durata di 24 mesi.

Attenzione alle eventuali prescrizioni mediche

Gli effetti descritti (assegnazione a mansioni diverse o licenziamento), riguardanti il giudizio di inidoneità al lavoro, differiscono dalle ipotesi in cui il medico competente prescrive determinate azioni da parte dell’azienda al fine di rendere la mansione compatibile con lo stato di salute del dipendente.

In questi casi il datore di lavoro è tenuto ad ottemperare (a sue spese) alle prescrizioni mediche.

Si pensi, ad esempio, al lavoratore che, chiamato a passare lunghe giornate in macchina in qualità di commerciale, sviluppa un dolore alla schiena tale da rendere necessario l’utilizzo di appositi sedili.

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Foto copertina: istock/Khanchit Khirisutchalual

Paolo Ballanti