Il procuratore preposto all’indagine, Raffaele Guariniello, in occasione di un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, non ha comunque manifestato contrarietà riguardo alla nuova sentenza. Guariniello ha, al contrario, manifestato compiacimento per l’assegnazione della pena più elevata mai applicata prima in materia di sicurezza sul lavoro. La soddisfazione del procuratore si ricollega al fatto che i giudici non abbiano circoscritto l’episodio ad una specifica violazione, ma che al contrario abbiano introdotto la responsabilità amministrativa da parte della società e non soltanto quella prevista per gli imputati. Nonostante il gradimento dimostrato per il tenore della sentenza, il procuratore ha già fatto sapere che sarà presentato il ricorso in Cassazione.
Quest’ultimo infatti, come precisato dallo stesso Guariniello, servirà a fare chiarezza su alcuni punti di dubbia valenza inclusi nella sentenza. Al riguardo, essa contiene un aspetto, in particolare, su cui è sembrato opportuno avanzare alcune considerazioni. Nonostante infatti la causa di tipo economicistico sia stata valutata come prioritaria per la Thyssen sui costi della sicurezza e dunque ritenuta determinante ai fini della condanna, la Corte, paradossalmente, pare aver considerato proprio questo aspetto quale fattore implicante la riduzione della pena nei confronti dei vertici aziendali. Facendo riferimento ad un concetto fondamentale della teoria economica classica, il procuratore Guariniello in proposito ha detto: “I giudici sviluppano ancor di più il concetto di ‘homo oeconomicus’ che non poteva non pensare che, se i suoi operai fossero morti, avrebbe dovuto spendere ancor di più di quanto risparmiato omettendo di investire sulla loro sicurezza”.
Lasciando comunque fuori i dettagli di tipo tecnico-giuridico, non si nascondono le dubbiosità rispetto alla definizione che i giudici hanno riservato ad una possibile azione implicante un ingente danno economico, e cioè “impensabile”. Le motivazioni della sentenza d’appello evidenziano “il funzionamento patologico dell’impianto”, sottolineando l’inidoneità e l’incapacità funzionale degli estintori, e altresì mettendo in rilievo “la presenza massiva e abituale di carta e olio sulla linea” e le “violazioni antinfortunistiche dello stabilimento”. Il documento di valutazione del rischio risalente all’anno precedente alla tragedia, si legge nelle motivazioni, non prendeva minimamente in considerazione il pericolo di incendio. Da solo, questo fatto dovrebbe essere un segnale indicativo di come l’azienda in qualche modo avesse preventivato il grave rischio. Purtroppo, infatti, ignorando i rischi di perdita, sempre più aziende per stare al passo con gli attuali andamenti di mercato considerano e sollecitano una (pericolosissima) contrazione dei costi di prevenzione sugli infortuni.
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