Dall’esegesi del testo e della Circolare del 19 marzo 2012, n. 9 appare chiaro che tale procedimento in via amministrativa a fini conciliativi può presentare alcuni profili di incostituzionalità, rispetto ai quali è auspicabile un intervento della Consulta onde fugare ogni dubbio, in negativo o in positivo.
In breve, l’iter procedurale ha avvio con la presentazione di un reclamo all’ente accertatore, che costituisce condizione di ammissibilità dell’eventuale ricorso al giudice tributario e a quest’ultimo si accosta parecchio: ciò in quanto l’art. 17 bis afferma che al procedimento amministrativo in questione si applicano gli articoli 12, 18, 19, 20, 21 e 24 in quanto compatibili. Data la povertà della norma, soccorre a specificarne il contenuto la circolare citata, ove si legge che l’istanza di mediazione “anticipa il contenuto del ricorso”; spiegando come la sua presentazione già produce effetti processuali, tanto che, in caso di esito negativo del tentativo mediatorio, la costituzione in giudizio avviene semplicemente mediante deposito del ricorso già inoltrato all’Amministrazione Finanziaria.
Questo è il nodo centrale del problema: al Fisco, unitamente all’istanza, in unico atto, va consegnato il futuro ed ipotetico ricorso alla Commissione Tributaria, completo dei motivi, pena l’inammissibilità del ricorso medesimo (si veda a tal proposito il modello d’istanza-ricorso contenuto nella circolare).
Una simile previsione equivale a dire che, pur aprendosi un contenzioso che vede le parti contrapposte in un’ottica dialettica, una di esse e per di più la più debole, il contribuente, è obbligata a svolgere e rivelare all’avversario tutte le proprie difese (salvi i motivi aggiunti, comunque eventuali), conferendogli un indiscutibile vantaggio nella tenzone processuale. Direi che sussiste un’elevata probabilità di violazione del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione e dei principi del contraddittorio e della parità delle armi ex art. 111 della Costituzione.
Difatti, già di per sé le chance di successo del contribuente non sono delle migliori dinanzi alle Commissioni Tributarie, se la percentuale di cause vinte dall’Amministrazione è circa il 61% del totale, dimostrando una certa ritrosia dei giudici a dar ragione al cittadino (maliziosamente ritengo spesso a torto, nella giungla delle leggi fiscali). In un procedimento così strutturato, c’è il rischio che il fallimento della mediazione possa ex ante pregiudicare il convincimento del giudice, soprattutto in riferimento alla possibilità di valutare il comportamento della parti durante il suo svolgimento, tenuto conto che una di esse è costretta a giocare a carte scoperte e l’altra ha addirittura poteri interpretativi nei suoi vertici generali (come dimostra l’uso delle circolari). Come valuterà l’organo giudicante, ad esempio, il mancato inserimento nell’istanza, da parte del contribuente, di una proposta di mediazione (seppur qualificata come mera facoltà)? Ovvero il fallimento delle trattative per causa, magari legittima, del contribuente?
Qui non si vuole dubitare della sensibilità, della capacità e dell’accortezza dei giudici, tuttavia tale strumento deflattivo, così delineato, presenta rischi non indifferenti per dei diritti che non possono essere sacrificati in nome della speditezza processuale o della riduzione del contenzioso, come sovente affermato dalla Corte Costituzionale.
Concedendo il beneficio del dubbio alla bontà applicativa dell’istituto da parte della prossima giurisprudenza, appare legittimo suggerire un intervento normativo, anche di natura meramente regolamentare, volto a irreggimentare più opportunamente la fase precontenziosa, in attesa di un sollecito intervento del Giudice delle Leggi.
In dubio pro fisco?
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