Imu: le imprese tremano, rincaro del 200%

Redazione 10/05/13
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I tecnici sono al lavoro per studiare con quali modi sia possibile compensare i Comuni per coprire in modo efficiente la sospensione dell’acconto Imu per la rata di giugno decisa dall’esecutivo Letta. L’argomento è incandescente visto che i vari leader politici minacciano la stabilità del governo se non si seguono le linee che indicano da seguire sull’imposta municipale unica. Chi non si è salvato dall’amnestia di giugno sono le imprese che il 17 giugno saranno chiamate al primo versamento, c’è di più infatti sono già in vigore le regole nuove per cui riceveranno una doppia stangata rispetto a quanto corrisposto l’anno scorso.

La prima riguarda tutti ed è inserita nel decreto “Salva – Italia” di fine 2011, che aveva previsto per quest’anno un nuovo incremento dell’8,33% per i valori fiscali di riferimento di questi immobili, il moltiplicatore passa da 60 a 65, dopo gli incrementi del 20% apportati l’anno scorso.

La seconda è fissata per coloro che si trovano nei Comuni che hanno incrementato le aliquote  quest’anno o l’anno scorso, perché la rata di giugno verrà stimata sulla base delle scelte locali (quelle 2012 se non ci sono delibere nuove) e non più sul valore standard del 7,6 per mille come accaduto l’anno precedente. Già nel 2012, l’aliquota “ordinaria” rivolta a questi immobili è aumentata del 50,4%, e fra i Comuni che l’hanno incrementata, praticamente ci sono tutte le città più grandi, per cui nei fatti anche questo rincaro è quasi generalizzato.

I numeri rivelano perfettamente la grandezza del problema: un capannone di 2 mila metri quadrati in un’area industriale milanese a giugno 2012 ha erogato quasi 12.100 euro, con un’impennata dell’82,4% rispetto a quanto chiedeva l’Ici. Il conto da pagare nelle prossime settimane cresce invece oltre quota 18.250 euro, con un nuovo aumento del 51,1% rispetto a 12 mesi fa e un super-aumento del 175,6% rispetto ai tempi della vecchia Ici. Un po’ più lieve (si fa per dire) il confronto con l’Ici a Roma, Torino e Napoli (+96,9%) ma solamente perché in queste città anche l’antenata dell’Imu era arrivata al valore massimo consentito all’epoca (il 7 per mille) mentre il capoluogo lombardo si accontentava del 5 per mille.

Distante da questi grandi centri e nella fattispecie per certe categorie di imprese che il vecchio fisco locale riteneva meritevoli di un trattamento speciale, gli aumento effettivi saranno ancora più forti. Ad esempio a Ferrara, come in altri Municipi, l’amministrazione aveva optato per l’alleggerimento del conto per le imprese a inizio attività, o per chi rilevasse immobili strumentali da un fallimento per assicurare il mantenimento dell’occupazione in quell’area, e riservava a questi immobili l’aliquota “ultralight” del 4 per mille.

Dal 2013, però, questi sconti sono proibiti per legge, perché il gettito generato dall’aliquota standard del 7,6 per mille viene rivolto allo Stato e i Comuni non hanno facoltà di incidere in nessun modo sulla riserva statale; in questi casi, di conseguenza l’incremento minimo rispetto all’anno scorso sarà del 106%, e potrebbe giungere al 187% nei Comuni che sceglieranno di applicare la maggiorazione a tutti.

La riserva statale sulle imprese infatti, vieta gli sconti ma non pone un tetto agli aumenti, che grazie alle maggiorazioni locali possono riportare l’aliquota al tetto del 10,6 per mille. È probabile, anzi, che la nuova distribuzione delle risorse, che assegna allo Stato il doppio del gettito realizzato con questi immobili rispetto all’anno scorso (quando Stato e municipi si dividevano a metà i valori ad aliquota standard), moltiplichi gli incrementi anche fra i Comuni che finora non avevano sfruttato questa leva fiscale.

In linea di massima, l’aumento della quota statale è compensato dal fatto che ai sindaci vanno tutti i frutti fiscali delle abitazioni, ma nei tanti Comuni in cui è alta l’incidenza dei fabbricati industriali (o, nelle zone turistiche, degli alberghi, che appartengono alla stessa categoria catastale dei capannoni) lo scambio non sarà a costo zero: e il nuovo «Fondo di solidarietà», ancora da costruire ma già tagliato per 2,25 miliardi dalla spending review, difficilmente potrà pareggiare i conti.

Redazione

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