Il Capo dello Stato, recentemente rieletto, ha fatto capire espressamente che è il momento del pragmatismo ed ha indicato nel lavoro svolto dai 10 saggi la base politica da cui ripartire. Fra i punti che i 10 saggi hanno individuato come i più pressanti da risolvere figura anche l’Imu, certamente non la sua abolizione o addirittura restituzione che comporterebbero un vero e proprio crack delle casse statali, però sicuramente un ritocco verso il basso, soprattutto sulla prima casa, quella che gli italiani sentono come intoccabile e probabilmente a ragione.
Un provvedimento del genere, per quanto non sia quello promesso da Berlusconi in campagna elettorale servirebbe, almeno momentaneamente, a frenare i malumori dei cittadini e a far guadagnare punti di consenso ad un Cavaliere già dato in ascesa nei gradimenti che non farebbe fatica a prendersi il merito di questo provvedimento vista la tragica assenza di rivali politici sulla scena. A riprova di quanto detto ci sono le parole, piuttosto concilianti, di Pier Paolo Baretta del Pd ” si può rivederne l’impatto, modulare soglie di esenzione“.
Il programma redatto dai saggi, alcuni de quali molto probabilmente entreranno nel governo, (Moavero e Giovannini su tutti) almeno parzialmente è attuabile immediatamente con reciproca soddisfazione da parte di Pd e Pdl: tra le prime cose da fare ci sarà il rifinanziamento con 2 miliardi del Fondo centrale di garanzia, che consentirà di erogare 30 miliardi di finanziamenti alle piccole imprese, inoltre tutti sono d’accordo, nell’immediato, ad impiegare le poche risorse disponibili per fornire agevolazioni fiscali ai redditi deboli, secondo il principio cardine scelto dai saggi.
Un’altra idea che gode di ampi consensi è quella che prevede la restituzione di tutti i 90 miliardi arretrati alle imprese creditrici della Pubblica amministrazione, e non soltanto quindi dei 40 miliardi programmati dal governo Monti anche se appare onestamente complesso rispettare il 3% del deficit del Pil, argomento delicato e spinoso che però prima o poi sarà necessario affrontare considerata la deroga ottenuta da Francia e Spagna.
I mercati dal canto loro non saranno un problema; infatti lo spread ieri è sceso a 282 punti, il minimo fatto toccare dal 2010, del resto gli investitori sanno perfettamente che un governo di larghe intese non metterà a rischio i conti con misure espansive e che in ogni caso è meglio del caos nel quale il paese ha versato fino ad ora.
La parte realmente complicata si avrà quando entro quest’anno sarà necessario fare una manovra da 8 – 10 miliardi e sarà un’altra manovra in stile lacrime e sangue perché di fatto ricalcherà le decisioni impopolari che hanno permesso al governo tecnico di far rientrare il bilancio nei parametri richiesti dalla Commissione Ue. E’ chiaro però che a livello politico queste decisioni rappresentano una patata bollente visto che richiedono uno sforzo ai cittadini, si pensi che solo l’aumento dell’Iva di luglio frutta allo stato qualcosa come 4 miliardi.
Fra questi provvedimenti, oltre la Tares, la nuova tassa sui rifiuti, rientra naturalmente l’Imu che dovrà essere approvata e confermata anche dopo il 2014 e se il programma dei saggi verrà rispettato il Parlamento dovrà recuperare anche la delega fiscale che devi rimodulare 30 miliardi di euro di agevolazioni fiscali. Ovviamente tutti questi step obbligati metteranno a dura prova la tenuta della maggioranza.
La poltrona più scomoda, alla luce di quanto detto fino ad ora, è evidente che sarà quella del futuro ministro dell’Economia che è difficile che sia un Monti bis più probabile invece che sia un ministro tecnico a ricoprire questo ruolo così delicato ed importante. Al momento il toto nomi riguarda Enrico Giovannini, il presidente dell’Istat e Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia. Il Pd, invece, dovrebbe proporre Pier Carlo Padoan, il capo economista dell’Ocse che sarebbe stato il prescelto in caso di governo Bersani.
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