Sono note le enormi possibilità di business aperte dalla telefonia mobile e, come sempre accade in questi casi, la necessità per le aziende del settore, di installare su tutto il territorio nazionale le antenne e gli altri impianti necessari per la copertura del servizio, non essendo ovviamente utili i vecchi impianti per la telefonia fissa.
Altrettanto naturalmente, la diffusione esponenziale dei predetti impianti sul territorio ha fatto sorgere nella comunità scientifica e nella popolazione dubbi e paure circa i possibili effetti negativi per la salute umana, legati all’esposizione delle persone alle emissioni prodotte dalle c.d. stazioni radio base (SRB) e dagli altri impianti per la telefonia cellulare, che vengono disseminati anche a breve distanza dalle abitazioni, dagli uffici, dalle scuole, dai luoghi di cura e così via.
La materia è dunque destinata a creare conflitti di competenza.
Ed infatti, se per un verso gli impianti che gli operatori di telefonia mobile utilizzano incidono innanzitutto, in quanto lato sensu edilizi, sull’assetto del territorio toccando una materia di competenza dei Comuni, dall’altro non vi è dubbio che gli impianti suddetti attengono anche alla tutela della salute, ossia ad una materia che è attribuita alla competenza dello Stato.
Le amministrazioni comunali, alle quali è attribuito il potere di autorizzare o vietare l’installazione degli impianti si trovano, quindi, quotidianamente fra due fuochi: da un lato, la protesta popolare, dall’altro, le inevitabili pressioni degli operatori commerciali del settore i quali, oltre a tutelare il proprio diritto di iniziativa economica, hanno anche la necessità tecnica di posizionare in maniera diffusa i propri impianti, al fine di assicurare il servizio.
Tendenzialmente, i gestori di telefonia mobile, dovrebbero procurarsi sul mercato, con gli ordinari strumenti del diritto civile, la disponibilità delle aree dove impiantare le stazioni radio e le altre infrastrutture connesse.
Ciò in quanto qualunque procedimento espropriativo, per l’evidente sacrificio che comporta per il diritto di proprietà, va considerato come l’extrema ratio a cui ricorrere per ottenere le aree su cui installare gli impianti e solo nel caso di conclamata impossibilità a realizzare altrimenti la rete.
Venendo ora al caso in questione risulta che la procedura ablativa avviata dal Comune aveva come scopo quello di realizzare una piattaforma attrezzata, in sé priva di ogni finalità pubblica diretta, destinata a ospitare le infrastrutture di comunicazioni per un periodo di tempo limitato, previo accordo con i privati gestori che pagheranno un canone corrispettivo.
Il T.A.R. Emilia Romagna investito della questione e tenendo conto dei principi su esposti ha annullando i provvedimenti impugnati sul presupposto che: “l’utilizzo improprio dell’istituto dell’espropriazione potrebbe avere effetti distorsivi del mercato della telefonia mobile; potrebbe, infatti, verificarsi l’eventualità che altri gestori presenti nel territorio comunale non potendo usufruire dell’area attrezzata per cui è causa debbano procurarsi a proprie spese aree di sedime meno idonee a vedervi impiantate le infrastrutture in questione”.
Sulla questione, il Consiglio di Stato investito della questione ha ritenuto: “ad avviso del Collegio, non sono condivisibili..le censure dedotte avverso la procedura di espropriazione utilizzata dal Comune..In effetti.. le infrastrutture strumentali alle stazioni radio per la telefonia rientrano nella categoria delle opere di pubblica utilità ( come ha statuito la sentenza C.d.S. n. 4847/2003 )..”( cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 11/2012).
In sintesi, dunque, va riconosciuto legittimo l’esercizio del potere espropriativo da parte del Comune per la realizzazione di siti attrezzati da destinare agli impianti di telefonia mobile, in quanto l’espropriazione è sì indirizzata alla realizzazione di opere private ma pur sempre di pubblica utilità.
Ne deriva, dunque, che ben può il Comune, a seguito di una apposita procedura ad evidenza pubblica, disporre la realizzazione di una piattaforma attrezzata idonea all’istallazione di impianti di trasmissione del segnale per la telefonia mobile da mettere a disposizione dei vari gestori del servizio in questione, previo pagamento di un canone ed in specifica esecuzione di apposito accordo in precedenza raggiunto tra l’Amministrazione locale e tutti i gestori interessati ad installare nel territorio comunale una propria stazione radio base.
La pronuncia del Consiglio di Stato si presta ad ovvie critiche, non fosse altro per il fatto che le piattaforme attrezzate sono pur sempre opere costruite nell’interesse privato e prive in sé di utilità pubblica.
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