Il titolo di Dottore tra forum e Ordinamento Italiano

Qualche giorno fa, un mio amico, attivo frequentatore di forum e blog vari mi chiamava allarmato per quanto letto, in una discussione alquanto accesa su uno dei tanti siti, in merito al titolo di dottore e dell’uso o abuso che se ne possa fare, sia in fase di rilascio che di spendita.

Sempre questo mio amico, per meglio esprimere la sua preoccupazione, senza chiarirmi peraltro il livello culturale e professionale della persona che aveva fatto l’intervento in questione, mi inviava direttamente, virgolettato, il seguente commento: “L’abuso di titoli è sempre una atto di grave scortesia e somma cafonata. Nel codice deontologico dell’Avvocatura ad esempio è vietato agli Avvocati far uso del titolo di Dottore (è un po’ difficile trovare Avvocati che non siano anche Dottori).

Avrei da ridire anche sull’uso del titolo di dottore (ma è un OT) da parte dei Laureati con il nuovo sistema. Quello di Dottore è un titolo e come tutti i titoli deve essere previsto da un atto espressione di F.H. (in Italia un atto avente forza di legge). Tale titolo è espressamente previsto dalla nuove normative solo per i dottori di ricerca, ma non per i laureati o i laureati magistrali/specialistici (all’estero ci pigliano non poco per i fondelli per sta storia), mentre noi ci ossessioniamo a chiamare dottori i laureati triennali (all’estero è cosa inconcepibile perché il titolo di dottore è sempre prerogativa di coloro che hanno il massimo grado accademico). Invero tale “qualifica accademica” è prevista da un D.M. che non è atto avente forza di legge quindi è valido (in materia) come i soldi del monopoli.

Vi è da dire che il titolo è scomparso (da quando è in vigore il nuovo ordine degli studi superiori) dal diploma, mentre i vecchi laureati hanno la spendita del titolo proprio sul diploma (la laurea di Dottore in ….,mentre oggi si legge solo la Laurea in … la laurea magistrale/specialistica in …. )”.

Da una prima analisi oggettiva del testo si desume che l’autore è pienamente convinto che:

a. l’abuso dei titoli ha rilevanza principalmente etico-sociale, senza specificare se invece, secondo lui, ha rilevanza anche penale;

b. il codice deontologico forense vieta l’uso del titolo di dottore per colui che è abilitato alla professione, non chiarendo se invece è lecito per coloro che ancora, seppur iscritti all’Albo professionale (come i praticanti o a maggior titolo i procuratori) non hanno ancora ottenuto l’abilitazione di Stato;

c. vi siano riserve (ritengo solo personali) sul titolo rilasciato ai laureati con il nuovo sistema;

d. il titolo deve promanare da una atto espressione di una F.H. (ritengo fons honorum) e in Italia da un atto avente forza di legge;

e. il titolo di dottore è previsto solo per coloro che conseguono il dottorato di ricerca mentre non lo è per i laureati o i laureati magistrali/specialistici;

f. vi è un’ossessione in Italia a chiamare dottore i laureati “triennali”;

g. il titolo di dottore è invece una “qualifica accademica” prevista da un D.M. che non è atto avente forza di legge quindi è valido, secondo quanto riportato fedelmente, “come i soldi del monopoli”;

h. il titolo è scomparso dai diplomi di laurea “(da quando è in vigore il nuovo ordine degli studi superiori) mentre i vecchi laureati hanno la spendita del titolo proprio sul diploma”.

Per dare una risposta esauriente, al mio tanto rammaricato amico, è necessario fare un pò di ordine, sia sotto il profilo cronologico che ermeneutico della normativa afferente l’acquisizione e la legittimità del titolo di dottore in Italia, tralasciando la comparazione con gli altri istituti nazionali europei e transatlantici, per evitare di incorrere nella ricerca di inappropriati e fuorvianti parallelismi.

Tutto ebbe inizio con il R.D. 4 giugno 1938, n. 1269, Approvazione del regolamento sugli studenti, i titoli accademici, gli esami di Stato e l’assistenza scolastica nelle università e negli istituti superiori, con cui si attribuiva la qualifica accademica di dottore, senza riportarla sul diploma in quanto prevista sola la lode, a tutti coloro che avessero conseguito una laurea.

Una prima modifica sostanziale del sistema universitario, che ribalterà totalmente la visione monolitica della laurea prevista dal predetto regio decreto, si ha negli anni 90 e precisamente con la Legge 19 novembre 1990, n. 341. “Riforma degli ordinamenti didattici universitari.” (Pubblicata nella G.U. 23 novembre 1990, n. 274.) con cui si introducevano forme di titoli universitari totalmente nuovi e frazionabili in periodi contenuti, almeno per le lauree, in quelli previsti per le precedenti.

Come innovazione questa legge, all’art. 1, introdusse le figure accademiche del:

a) diploma universitario (DU);

b) diploma di laurea (DL);

c) diploma di specializzazione (DS);

d) dottorato di ricerca (DR);

senza nulla innovare o specificare sull’attribuzione del titolo di dottore all’ottenimento del diploma di laurea (allora di quattro o più anni accademici) il diploma di specializzazione o del dottorato di ricerca.

Un ulteriore passo in avanti, sulla scia dell’ingerenza sempre più coinvolgente del diritto comunitario nell’ordinamento italiano e dunque anche di quello relativo all’insegnamento universitario, si ha nove anni dopo con la Legge 15 maggio 1997, n. 127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1997 – Supplemento ordinario, con cui si è tentato, all’art. 17 e dai commi 95 a 109, di dare maggiore incisività all’innovazione introdotta dalla precedente legge 341/90, senza però intervenire nel merito della suddivisione dei corsi dalla stessa prevista all’art. 1, né sui titoli rilasciati e sull’attribuzione di quello di dottore.

Anche il relativo regolamento approvato con Decreto 3 novembre 1999, n. 509 e Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 2000 n.2, all’art. 3 non disciplina l’attribuzione del titolo di dottore.

E con il decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 22 ottobre 2004, n. 270, pubblicato in G.U. 12 novembre 2004 (la così detta riforma Moratti) con il titolo: “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, 3 novembre 1999, n. 509”, all’art. 13 c. 7°” che si inizia a modificare lo status quo statuito dall’art. 48 del R.D. seppur con qualche difficoltà in ordine alla legittimità delle fonti, considerato il fatto che nella gerarchia delle stesse un decreto ministeriale non può derogare un atto avente forza di legge.

Effettivamente il decreto Moratti non ha derogato alcunché, ha solo regolamentato quanto già previsto nel R.D. secondo cui appunto il titolo di dottore viene rilasciato a coloro che conseguiscono una laurea!

E’ soltanto con la “Riforma Gelmini”, quella prevista dalla legge Legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche’ delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2011 – Suppl. Ordinario n. 11, che finalmente si dice qualcosa di diverso ed avente forza di legge, essendo ormai ritenuto logico e necessario in quanto era cambiato totalmente il mondo universitario, sia rispetto al regio decreto iniziale che alla legittima attribuzione del titolo di dottore in capo ai laureati.

Difatti, all’art. 17 c. 2° riporta, richiamando il predetto decreto3 Moratti, : “ 2. Ai diplomati di cui al comma 1 compete la qualifica accademica di «dottore» prevista per i laureati di cui all’articolo 13, comma 7, del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270.” sanando così, autenticamente, laddove vi fosse stata necessità interpretativa ulteriore, un eventuale (ma così non era) disallineamento contenutistico tra quanto disposto dalla norma principe, il R.D. 4 giugno 1938, n. 1269, e tutta la legislazione di rango primario e secondario succedutasi fino ai nostri giorni.

In buona sostanza con la riforma Gelmini si è ulteriormente ribadito il concetto originario che in Italia ad un titolo di laurea(sia esso triennale, specialistico o di ricerca) è sempre attribuito il titolo accademico di dottore al suo possessore e ciò anche in virtu di quanto già disposto dalla Legge 13 marzo 1958, n. 262 che regola il conferimento ed uso di titoli accademici, professionali e simili e che all’art. 1 recita: “Le qualifiche accademiche di dottore, compresa quella honoris causa, le qualifiche di carattere professionale, la qualifica di libero docente possono essere conferite soltanto con le modalità e nei casi indicati dalla legge .

Veniamo ora a confutare quanto riportato dal nostro amico, nella speranza di aver già contribuito a far chiarezza, almeno sul piano della normativa vigente:

a. l’abuso dei titoli ha rilevanza anche e soprattutto sotto il profilo penale, secondo quanto previsto dall’art. 2 della Legge 13 marzo 1958, n. 2624 e dall’art. 498 del Codice Penale (Usurpazioni di titoli)5;

b. il codice deontologico forense non vieta l’uso del titolo di dottore per coloro che iscritti all’Albo come praticanti e procuratori non hanno ancora conseguito la prevista abilitazione. Di contro non vieta direttamente o esplicitamete l’uso del titolo di avvocato e dottore in quanto non ritenuta un’ipotesi genericamente riscontrabile e soprattutto in considerazione del fatto che il titolo abilitativo è decisamente superiore e più remunerativo sotto il profilo formale. Ovviamente tra le varie norme che contemplano comportamenti soggetti a eventuali contestazioni disciplinari di carattere generale ve ne potrebbero essere alcune in cui si potrebbe far rientare un’ipotesi del genere!

c. le uniche riserve possono essere di tipo personale perchè la legge è chiara ed ha valenza su tutto il territorio nazionale;

d. è alquanto curioso appellarsi ad una “Fons Honorum” che in ambito pubblicistico ha i suoi limiti oggettivi per trarre quello che invece la legge stessa dispone;

e. come si è ben dimostrato il titolo di dottore è previsto per tutti i tipi di lauree rilasciate nello Stato Italiano e non solo per il dottorato di ricerca;

f. vi è una legge per cui è obbligo appellare dottore i laureati “triennali”;

g. il titolo di dottore, in Italia, paese in cui viviamo ed in cui il diritto nazionale è cogente, è un titolo acacdemico previsto sia dal R.D. 4 giugno 1938, n. 1269 un D.M. che dalla Legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche’ delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”;

h. è solo in parte vero perchè sui diplomi rilasciati per la laurea triennale è ancora riporatta la dicitura : “…conferiamo la laurea e la qualifica di dottore in…“.

Spero così, infine, di aver risposto in forma esaustiva e completa ai dubbi sia del mio amico che del lettore attento e interessato.

1Art. 48. Le lauree e i diplomi, conferiti dalle università e dagli istituti superiori, vengono rilasciati, in nome del Re e Imperatore, dal rettore o direttore e debbono essere sottoscritti anche dal preside della facoltà e dal direttore amministrativo. Nelle lauree e nei diplomi non sono indicati i voti conseguiti nel relativo esame, ma si fa speciale menzione della lode, quando questa sia stata concessa. A coloro che hanno conseguito una laurea, e ad essi soltanto, compete la qualifica accademica di dottore.

2 art. 13. c. 7. A coloro che hanno conseguito, in base agli ordinamenti didattici di cui al comma 1, la laurea, la laurea magistrale o specialistica e il dottorato di ricerca, competono, rispettivamente, le qualifiche accademiche di dottore, dottore magistrale e dottore di ricerca. La qualifica di dottore magistrale compete, altresì, a coloro i quali hanno conseguito la laurea secondo gli ordinamenti didattici previgenti al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509.

3Art. 17. (Equipollenze)

  1. I diplomi delle scuole dirette a fini speciali istituite ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, riconosciuti al termine di un corso di durata triennale, e i diplomi universitari istituiti ai sensi della legge 19 novembre 1990, n. 341, purche’ della medesima durata, sono equipollenti alle lauree di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.

  2. Ai diplomati di cui al comma 1 compete la qualifica accademica di «dottore» prevista per i laureati di cui all’articolo 13, comma 7, del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270.

  3. Ai diplomi delle scuole dirette a fini speciali, istituite ai sensi del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1982, e ai diplomi universitari istituiti ai sensi della citata legge n. 341 del 1990, di durata inferiore a tre anni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 3, del citato regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica n. 509 del 1999.

  4. Con decreto del Ministro, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e’ identificata l’attuale classe di appartenenza del titolo di laurea a cui fanno riferimento i diplomi universitari rilasciati dalle scuole dirette a fini speciali e i diplomi universitari dell’ordinamento previgente. quanto statuito nel regio decreto e quanto venutosi a modificare sia per legge che per decreto in relazione all’attribuzione del titolo di dottore a seguito, ad oggi, delconseguimento delle rispettive lauree.

4Art. 2. Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, della qualifica accademica di dottore compresa quella honoris causa, di qualifiche di carattere professionale e della qualifica di libero docente, ottenute in contrasto con quanto stabilito nell’articolo 1, è punito con l’ammenda da L. 30.000 a L. 200.000, anche se le predette qualifiche siano state conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge. La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 36, ultimo comma, del Codice Penale.

5 Art. 498 C.P. Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, della qualifica accademica di dottore compresa quella honoris causa, di qualifiche di carattere professionale e della qualifica di libero docente, ottenute in contrasto con quanto stabilito nell’articolo 1, è punito con l’ammenda da L. 30.000 a L. 200.000, anche se le predette qualifiche siano state conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge. La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 36, ultimo comma, del Codice Penale.

Carmelo Cataldi

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