A Friburgo, Benedetto XVI, nella giornata conclusiva del suo viaggio in Germania, prendendo spunto dalla “Parabola dei due fratelli”, ha affermato che agnostici e non credenti, che soffrono per i nostri peccati, sono più vicini a Dio dei credenti che concepiscono la fede come routine e apparato.
Gesù racconta la parabola “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”, che si atteggiano a modelli di fede e di vita, per mettere a nudo la loro ipocrisia. Ma, colpo di scena, sembra apprezzare i “pubblicani e le prostitute”.
L’episodio si svolge nel tempio di Gerusalemme, il luogo dove, a parole, si osservano gli insegnamenti di Dio, ma, nei fatti, se ne progetta la morte.
Per questa ragione Gesù ha in simpatia i “lontani” piuttosto che i “vicini”. Del resto, sono i primi ad accoglierlo e non i capi religiosi.
La parabola, infatti, attraverso la risposta degli stessi destinatari, dimostra, in modo geniale, il rifiuto dei “vicini”, che avrebbero dovuto accoglierlo, e la vicinanza dei ”lontani”, disponibili al cambiamento.
Anche stavolta si parla di lavorare la vigna e della reazione di chi è chiamato a farlo, la differenza sta nel fatto che l’invito non proviene da un padrone, ma da un padre che invita i figli a collaborare , a rendere fertile la vigna di proprietà comune , per una vendemmia di festa per tutta la famiglia.
Un padre manda i suoi due figli a lavorare la vigna. Il primo si dichiara disponibile, ma non adempie a quanto promesso. Il secondo, invece, dice di non averne voglia, ma poi va a lavorarla. A questo punto la domanda di Gesù ai suoi ascoltatori: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Essi risposero: ”L’ultimo”. A tale ovvietà segue la considerazione sconvolgente del Maestro : “In verità vi dico, i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.
Sono storie di duemila anni fa, ma si ripetono in ogni tempo, soprattutto nel nostro.
Pensando al nostro tempo, se volessimo ricercare i destinatari della parabola, chi individueremmo?
Innanzitutto, se pensiamo alla religione cattolica, quali “Capi dei sacerdoti”, dovremmo indicare il Papa e i vescovi. Senza con ciò voler trascurare il fatto che ci sono molte religioni e molti sacerdoti e capi. Tutto dipende dal grado di potere esercitato e dalla forza dell’organizzazione (apparato) di riferimento.
Gli “anziani del popolo”, invece, potrebbero essere individuati nei vertici della burocrazia e della politica, in quei soggetti che dovrebbero lavorare per il bene comune .
Ancora una volta il Maestro sconvolge la logica dei benpensanti: non solo gli ultimi diventano primi, ma i lontani diventano vicini. I pubblicani e i peccatori superano i prìncipi e i dottori, violando il divieto di sorpasso decretato dai capi. Questi, che puntavano sulla fedeltà alla legge, da “vicini”, come asserivano di di essere, diventano “lontani”, perché la loro osservanza è solo legalismo esteriore, senza sostanza.
Il Papa, imitando l’esempio del Maestro, pare abbia a cuore i “lontani” agnostici. L’avevamo intuito dal messaggio per la giornata mondiale della pace, quando ha difeso la possibilità, non solo di cambiare religione, ma di non professarne alcuna. Quando ha parlato della necessità dell’uomo di “ascoltare se stesso e la domanda di infinito che porta nel cuore”, perché “senza l’apertura al trascendente, la persona si ripiega su se stessa (…) e non riesce a trovare risposta agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita (…) e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà a sviluppare una società giusta”.
Si intravede la volontà di coniugare la trascendenza con l’immanenza; ciò trova conferma nelle affermazioni di Friburgo e nella scelta di una parabola che, più di tutte, fa capire che la trascendenza senza l’immanenza ci colloca all’ultimo posto. Non ci sono regalie di santità, né riserva di posti per i potenti, ma lavoro nella vigna comune. Altrimenti, resta valido, soprattutto per loro, il rimprovero che Gesù rivolge ai farisei: “Dicono e non fanno”.
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